T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, sentenza 16 febbraio 2015, n. 2688, in materia di illeciti antitrust nel settore dei servizi professionali.

 Illeciti antitrust – Intese restrittive della concorrenza – Ordine dei medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Bolzano – Ostacoli alla concorrenza nel settore dei servizi professionali – Divieto di pubblicizzare su internet i prezzi praticati per prestazioni professionali rese dagli iscritti all’Ordine – Violazione dell’articolo 2 della legge n. 287/1990 – Accertamento dell’illecito e applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria – Legittimità.

È legittimo il provvedimento amministrativo con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha accertato la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287/1990, per aver l’Ordine dei medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bolzano ostacolato la pubblicazione su internet dei prezzi praticati dai propri iscritti per prestazioni professionali, impedendo in tal modo il confronto competitivo su un elemento essenziale dell’offerta.

Anche nel settore dei servizi professionali devono dunque ritenersi applicabili le regole di diritto antitrust per cui costituiscono intesa restrittiva della concorrenza non solo le pratiche di fissazione dei prezzi e/o determinazione di minimi tariffari inderogabili ma, più in generale, tutte le condotte che siano volte a condizionare, direttamente o indirettamente, la libertà di iniziativa economica del professionista, alterando le ordinarie dinamiche del mercato.

  

N. 02688/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00193/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 193 del 2010, proposto dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Bolzano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Longhin e Antonio Fava, elettivamente domiciliato in Roma, Via Serradifalco, 7 Int 1, presso lo studio dell’avv. Antonio Fava;

contro

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Centro Tutela Consumatori Utenti di Bolzano, Stefano Bianconi, Bakry Dababou;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
Fnomceo Federazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Longhin, elettivamente domiciliato in Roma, Via Serradifalco, 7 Int 1, presso lo studio dell’avv. Antonio Fava;

per l’annullamento

– della deliberazione adottata il 7.10.2009 proc. 1706/dse dall’Autorità garante della concorrenza e del Mercato, notificata il successivo 28 ottobre, pervenuta il 2 novembre, con la quale il ricorrente è stato ritenuto responsabile di una intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 della L. 287/90, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa di € 5.000,00 e dell’obbligo di assumere misure atte a porre termine all’illecito riscontrato;

– nonché di tutti gli atti antecedenti, preordinati, consequenziali e connessi del relativo procedimento (ivi compresa la deliberazione del 29.04.2009);

– di ogni ulteriore e consequenziale statuizione.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2015 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bolzano ha chiesto l’annullamento del provvedimento indicato in epigrafe, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche Autorità o AGCM) ha ritenuto il ricorrente ordine responsabile di una intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287/90, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa di € 5.000,00 e dell’obbligo di assumere misure atte a porre termine all’illecito riscontrato.

In particolare, la vicenda trae origine da una segnalazione all’Autorità di un’associazione di consumatori – centro tutela consumatori utenti, d’ora in avanti associazione o CTCU – pervenuta il 9 giugno 2008, la quale evidenziava l’adozione di comportamenti anticoncorrenziali da parte dell’Ordine con riferimento all’iniziativa dell’associazione volta a pubblicare sul proprio sito web i prezzi praticati dagli odontoiatri attivi a Bolzano in relazione a determinate prestazioni professionali.

Il segnalante rappresentava come l’Ordine, attraverso lettere indirizzate ai professionisti iscritti all’Albo, avrebbe loro chiesto di non trasmettere al CTCU i prezzi da loro praticati.

Sulla base di tali elementi, quindi, l’AGCM avviava il relativo procedimento, che vedeva il contraddittorio con l’ordine e si concludeva con il provvedimento impugnato in questa sede.

L’Autorità, premessa la definizione della parti e del mercato rilevante, individuato nell’attività di erogazione dei servizi odontoiatrici nella provincia di Bolzano, rilevava come già nel maggio 2005 l’Ordine aveva inviato, a circa 200 odontoiatri iscritti all’albo, una missiva con cui invitava i destinatari a non aderire all’iniziativa del CTCU di comunicazione dei prezzi praticati, al fine di pubblicarli nel sito web.

Rappresentava poi il provvedimento come nel 2006 l’Autorità, in considerazione dell’entrata in vigore del decreto legge n. 223/2006, che aveva sancito l’abrogazione delle disposizioni normative che contenevano divieti o limitazioni a pubblicizzare le prestazioni professionali, inviò all’Ordine una sollecitazione ad adeguare i propri comportamenti al mutato contesto normativo, a seguito della quale, tuttavia, l’ordine si limitò ad inviare una lettera di risposta all’AGCM, senza nulla comunicare ai propri iscritti.

Rilevava ancora il provvedimento come nel 2007, a seguito di nuovo invito del CTCU al quale avevano aderito dieci professionisti, l’ordine inviò a tutti gli iscritti all’Albo degli odontoiatri una lettera, a firma del Presidente della Commissione odontoiatrica, con la quale invitava i destinatari a non spedire i prezziari senza l’autorizzazione da parte dell’Ordine dei medici, affermando contestualmente che la legge n. 175/1992, contenente norme che limitavano la diffusione di pubblicità sanitaria, doveva ritenersi ancora vigente e rappresentando, infine, che il “livello di prezzi al di sotto di una certa soglia rende discutibile l’impegno scrupoloso di tutte le norme igieniche e di sicurezza” e che “la semplice elencazione della tariffe non consentirebbe ai cittadini di farsi un’idea sulla qualità delle prestazioni”.

Infine il provvedimento esponeva come, dopo la pubblicazione della tabella contenente i prezzi delle prestazioni, a cui avevano dato il consenso solo dieci professionisti della provincia, l’Ordine, in data 10 aprile 2008, inviò a questi ultimi una lettera a firma del Presidente della Commissione odontoiatri in cui gli stessi venivano invitati a “porgere molta attenzione a non intraprendere iniziative … contro il decoro della … professione e in contrasto con le attuali norme deontologiche, finalizzate a promuovere in maniera non trasparente la propria attività professionale”, rammentando, altresì, ai destinatari la possibile irrogazione di sanzioni disciplinari a fronte della ritenuta contrarietà al codice deontologico della pubblicazione delle tariffe.

L’invito, contenuto nella missiva, a cancellare il nome dal sito web veniva accettato da sette professionisti su dieci.

Il provvedimento proseguiva poi illustrando la normativa di riferimento e le ragioni per le quali doveva ritenersi che il decreto legge n. 223/2006, convertito nella legge 248/2006, avesse introdotto, anche nella professione di odontoiatra, alcuni principi di liberalizzazione rendendo, in particolare, possibile la diffusione di pubblicità avente natura informativa circa i prezzi, i costi, i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio professionale offerto, ed avesse, inoltre, disposto l’abolizione delle tariffe.

Venendo alle valutazioni giuridiche, l’Autorità, premesso che gli odontoiatri svolgono attività economica ai sensi dei principi “antitrust” in condizioni di concorrenza, considerato, inoltre, che gli odontoiatri iscritti all’Ordine rappresentano l’85,7% del totale degli odontoiatri che svolgono la libera professione nella provincia di Bolzano e che l’Ordine stesso deve essere riconosciuto come soggetto alle norme antitrust, riteneva che le lettere dell’agosto 2007 e dell’aprile 2008, in quanto adottate da un organo di un ente rappresentativo di imprese che forniscono prestazioni professionali mediche ed odontoiatriche, costituissero deliberazioni di un associazione di imprese, qualificabili in termini di intesa.

Il contenuto dell’intesa consisteva nella fissazione di ostacoli alla pubblicazione dei prezzi e l’effetto della stessa consisteva nell’ostacolare il confronto competitivo tra gli iscritti all’ordine.

La quantificazione della relativa sanzione era fissata nella misura del 7% del fatturato e quindi in 5000,00.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza

I. Violazione dell’art. 1, comma 4, 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 in relazione all’art. 81 del Trattato CEE, nonché dell’art. 2 del DLCPS 13.9.1946 n. 233, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria ed irragionevolezza della motivazione.

Il Consiglio ricorrente contesta la conclusione dell’Autorità secondo cui la Commissione Albo odontoiatri dell’ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bolzano, semplice organo interno, privo di rappresentatività esterna, costruirebbe un ente “rappresentativo di imprese”.

Contesta altresì la correttezza dell’affermazione secondo cui il mero invio di due lettere, una delle quali diretta a pochissimi professionisti, integri un intesta ai sensi della normativa antitrust.

II. Violazione dell’art. 1, comma 4, 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 in relazione all’art. 81 del trattato CEE, nonché dell’art. 2 del DLCPS 13.9.1946 n. 233, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria ed irragionevolezza della motivazione, illogicità contraddittorietà, sviamento.

Parte ricorrente ribadisce come le due missive, essendo atti di un unico soggetto, non potrebbero essere qualificate “deliberazioni”, rappresentando pure come, in assenza di un attività di concertazione tradottasi in ripetuti, uniformi e paralleli comportamenti degli operatori, non sarebbe configurabile la sussistenza di un intesa.

III. Violazione dell’art. 1, comma 4, 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, nonché dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 e dell’art. 9 del regolamento CE 16.12.2002 n. 1/2003; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, sviamento.

Erroneamente l’Autorità avrebbe ritenuto gli impegni presentati dall’ordine inidonei a rimuovere i profili di criticità contestati

IV Violazione dell’art. 1, comma 4, 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5 e 6 del d.lgs. del 2 agosto 2007 n. 145, nonché degli artt. 8, 9, 10, 11, 12 e 13 del d.lgs. del 17 agosto 1999, n. 368 e della direttiva 93/16/CE, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità contraddittorietà, sviamento.

Il provvedimento avrebbe pure errato nel ritenere l’idoneità della condotta posta in essere ad incidere in maniera consistente sul mercato di riferimento, tanto più che quest’ultimo avrebbe dovuto essere individuato nel mercato nazionale e non in quello provinciale.

V. Violazione dell’art. 1, comma 4, 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 in relazione all’art. 2 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 e gli artt.2, 3, 4, 5 e 6 del d.lgs. del 2 agosto 2007 n. 145, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità contraddittorietà, sviamento.

Il provvedimento non avrebbe correttamente considerato l’evoluzione della disciplina normativa che regola l’informazione pubblicitaria dei professionisti in materia sanitaria. In particolare non avrebbe tenuto conto del fatto che, pur avendo il d.l. n. 223/2006 liberalizzato l’informazione e la pubblicità per le professioni intellettuali, lo stesso ha conservato, in capo agli ordini professionali, un potere di controllo sugli aspetti di veridicità e trasparenza, proprio al fine di garantire che non vengano forniti, al consumatore finale, dati fuorvianti.

VI. Violazione degli artt. 1, comma 4, 2, 14, 15 e 31 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, nonché degli artt. 11 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità contraddittorietà, sviamento.

Erroneamente l’Autorità avrebbe qualificato la violazione ravvisata come “molto grave”, tanto più che i fatti sanzionati si sono verificati in un periodo connotato da un’incertezza normativa di fondo e da una corrispondente incertezza interpretativa.

VII. Violazione degli artt. 1, comma 4, 2, 14, 15 e 31 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, in relazione agli artt. 4, 14 e 21 del d.gls. 13 settembre 1946 n. 233 e art. 33 del d.P.R. 5 aprile 1950 n. 221, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità contraddittorietà, sviamento.

Il ricorrente Ordine contesta le modalità di determinazione della sanzione inflitta, il cui calcolo è stato riferito all’importo dei contributi associativi versati dai singoli associati, non assimilabile, tuttavia, alla nozione di “fatturato” di cui all’art. 15 l. n. 287/90.

Si costituiva in giudizio l’Autorità intimata, chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato.

In prossimità della pubblica udienza le parti depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2015 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità del provvedimento con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha individuato un’intesa restrittiva della concorrenza nella spedizione di due missive, da parte del Presidente della Commissione Odontoiatri, agli appartenenti all’Ordine degli odontoiatri di Bolzano, ritenute idonee ad incidere sul comportamento economico degli iscritti, con l’effetto di restringere la concorrenza tra i medesimi.

2. In via preliminare è necessario ricostruire il quadro normativo e giurisprudenziale rilevante.

2.1.- Sotto il primo aspetto viene in rilievo l’art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), a norma del quale “Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;

b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi, o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi”.

2.2.1 Passando all’esame dei principi enucleati dalla giurisprudenza e rilevanti nel caso in esame, deve in primo luogo notarsi come la nozione di “impresa”, alla quale occorre fare riferimento per l’applicazione della l. n. 287/90, è quella risultante dal diritto comunitario e si riferisce a tutti i soggetti che svolgono un’attività economica e, quindi, siano “attivi” in uno specifico mercato. Per questo sono ormai considerate “imprese”, ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, anche gli esercenti le professioni intellettuali che offrono sul mercato, dietro corrispettivo, prestazioni suscettibili di valutazione economica (TAR Lazio, Roma, sez. I, 11 giugno 2014, n. 8349, 25 febbraio 11, n. 1757, 17 maggio 2006, n. 3543 e 3 settembre 2004, n. 8368).

2.2.2 A tale ricostruzione consegue la qualificabilità in termini di associazioni di imprese degli ordini professionali. (cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 8349/2014 cit., Consiglio di Stato, sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1099, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 11 marzo 2005, n. 1809).

2.2.3 Con riferimento agli atti degli Ordini, poi, la giurisprudenza, comunitaria e nazionale, ha più volte rilevato come occorra, nella individuazione delle “deliberazioni”, avere riguardo ad una valutazione sostanziale, cosicché non è tanto necessaria una particolare struttura collegiale del decisum, quanto l’idoneità dello stesso a produrre effetti nei confronti degli appartenenti all’ordine professionale (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 9 febbraio 2011, n. 1757 e Consiglio di Stato, sez. VI, 29 settembre 2009, n. 5864).

2.2.4 Quanto infine agli effetti dell’intesa, la giurisprudenza ha evidenziato che sono vietate non solo le intese tramite le quali le imprese fissano i prezzi a livelli esattamente determinati o stabiliscono esattamente prezzi minimi al di sotto dei quali esse si impegnano a non vendere, ma tutte le intese che mirino o abbiano per effetto di condizionare la libera determinazione individuale del prezzo e la sua naturale flessibilità, alterando la struttura del mercato e, quindi, la concorrenza (Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3026).

In sostanza, quindi, si è chiarito che, affinché un’intesa restrittiva sia giudicata illecita, non è necessario che produca anche l’effetto concreto di impedire, restringere o falsare la concorrenza (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 settembre 11, n. 5171) essendo sufficiente la mera idoneità della condotta a produrre i citati effetti distorsivi.

Ciò premesso può passarsi all’esame dei motivi di doglianza.

3. Con il primo motivo di doglianza parte ricorrente ha censurato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto che la Commissione Albo Odontoiatri di Bolzano costituisca un ente rappresentativo di imprese.

La Commissione, riferisce la parte, non avrebbe alcun potere di rappresentanza esterna, né soggettività, essendo quest’ultima riservata all’ordine, che agisce tramite il suo Presidente.

La censura va respinta.

Come, infatti, emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, l’Autorità non ha qualificato la Commissione odontoiatri come “ente rappresentativo di imprese”, bensì quale “organo di un ente rappresentativo di imprese”, ovvero quale articolazione dell’Ordine di Bolzano. In altri termini, la parola “organo” va riferita alla Commissione, mentre l’espressione “ente rappresentativo di imprese” va riferito all’Ordine.

La difesa erariale, sul punto, ha correttamente evidenziato come, ai sensi dell’art. 6, comma nono, della legge 24 luglio 1985, n. 409, che richiama l’art. 3, lett. f), del d.lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, la Commissione esercita “il potere disciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti iscritti nell’Albo”, anche se la (formale) delibera disciplinare è adottata dal Consiglio direttivo dell’Ordine provinciale.

Alla luce di quanto sopra richiamato e tenuto conto del fatto che, nel procedimento antitrust, rilevano gli effetti sostanziali di una data fattispecie e non la qualificazione formale della stessa, la qualificazione della Commissione quale organo rappresentativo dell’ente ha avuto riguardo alla riconducibilità dell’iniziativa all’Ordine.

Diversamente opinando, del resto, sarebbe sufficiente veicolare gli atti di indirizzo tesi a limitare gli effetti della concorrenza tramite dichiarazioni rese da organi interni o di soggetti privi di poteri rappresentativi all’esterno, realizzando così un effetto distorsivo insuscettibile di sanzione.

4. La doglianza, unitamente a quella articolata nel secondo motivo di ricorso, va pure respinta nella parte in cui il ricorrente ordine contesta che le due missive possano essere qualificate come “delibere associative”, in senso proprio, rilevanti ai fini della sussistenza di una intesa.

5. Va poi respinto il terzo motivo di doglianza, con il quale parte ricorrente ha censurato la decisione dell’Autorità di rigetto degli impegni, sulla base della ritenuta inidoneità e rimuovere tutti i profili di criticità rilevati.

Ed infatti il provvedimento di rigetto degli impegni ha enumerato, con motivazione analitica e puntuale, le ragioni per le quali la dichiarazione presentata dall’Ordine dei medici e degli odontoiatri non risultava idonea a rimuove i profili di illiceità contestati.

In primo luogo, il provvedimento ha evidenziato il contenuto generico della dichiarazione proposta, atteso che il ricordare agli iscritti “la possibilità per tutti i sanitari di accedere a forme di pubblicità professionale nuove, più moderne, nel rispetto delle regole” nulla dice sulle modalità operative di tale accesso e sul concreto contenuto delle regole, al rispetto delle quali si rinvia.

L’atto ha pure posto in luce la non veridicità dell’ulteriore affermazione, secondo cui il codice deontologico si sarebbe adeguato alla normativa sopravvenuta con l’adozione di linee guida dedicate alla pubblicità sanitaria, atteso che nella disciplina regolamentare de qua permanevano aspetti di difformità del decreto legge che aveva introdotto le disposizioni di liberalizzazione.

Sul punto, poi, è del tutto irrilevante la circostanza che il codice deontologico non fosse stato predisposto direttamente dall’Ordine di Bolzano, atteso che ciò che l’Autorità ha inteso censurare non è la predisposizione del codice ma l’obiettiva scorrettezza dell’informazione secondo cui le linee guida avrebbero contenuto un adeguamento alla normativa sopravvenuta.

6. Del tutto non condivisibile è, poi, l’assunto rappresentato nel quarto motivo di doglianza, con il quale parte ricorrente sostiene che l’Autorità abbia mal interpreto il contenuto delle lettere del 2007 e del 2008, atteso che le stesse, si scrive in atti, “non escludevano affatto la possibilità per il dentista di fare conoscere i propri servizi ed i relativi prezzi, ma richiamavano l’attenzione a farlo con una informazione trasparente che non sviasse l’utente”.

L’interpretazione proposta è, infatti, smentita dal tenore letterale delle due missive.

Quanto all’affidamento asseritamente ingenerato dalla posizione in precedenza assunta dall’Autorità – che nel 2005 aveva ritenuto irrilevante una prima missiva inviata dall’Ordine, di contenuto analogo a quello delle lettere del 2006 e del 2007, chiudendo il procedimento con una mera raccomandazione – deve rilevarsi come i fatti oggetto del provvedimento impugnato si sono svolti in un contesto normativo radicalmente mutato.

6.1 La medesima doglianza va pure respinta nella parte in cui il ricorrente censura la corretta individuazione del mercato di riferimento, sostenendo l’irrilevanza di una condotta circoscritta alla provincia di Bolzano a produrre effetti all’interno del mercato nazionale, tanto più che la seconda missiva è stata spedita solo a pochissimi professionisti iscritti all’albo.

Come esposto nella narrazione in fatto, il provvedimento ha puntualmente e condivisibilmente specificato come il mercato di riferimento è stato individuato nella provincia di Bolzano, perché è all’interno della stessa che si sono prodotti i contestati effetti distorsivi, in considerazione del fatto che la prima missiva è stata spedita a tutti gli iscritti all’Ordine provinciale e che l’adesione all’invito di non comunicare i dati richiesti a CTCU è stata, in termini percentuali, significativamente alta.

7. Va poi respinto il quinto motivo di doglianza, con il quale l’Ordine ritorna sul peculiare atteggiarsi dei principi di pubblicità in campo medico, ribadendo come pubblicizzare comparativamente prestazioni di cura, senza indicare alcun altro elemento che consenta di comprendere le metodologie di applicazione, finisca per sviare il consumatore anziché fornire allo stesso un’informazione trasparente.

Sul punto deve in primo luogo rilevarsi che i dubbi che emergono dalle missive non sono formulati nei termini sopra descritti e che, in ogni caso, anche una giusta preoccupazione dell’Ordine, non poteva legittimare la diffusione di una pratica contra legem.

Ne’ può rilevare la pretesa incertezza del quadro normativo, peraltro non sussistente in fatto, alla luce della diffusa ricostruzione contenuta nel provvedimento gravato, la quale semmai avrebbe dovuto consigliare un atteggiamento di prudenza.

8. Va poi respinta la censura articolata con il sesto motivo di doglianza, con la quale parte ricorrente ha censurato la valutazione dell’Autorità nella parte in cui ha qualificato come “molto grave” la condotta posta in essere, rappresentando come l’indeterminatezza normativa del concetto di “gravità”, avrebbe imposto una maggiore considerazione dei minimi effetti pratici derivanti dalla condotta presa in esame.

Anche tale censura va respinta.

Il provvedimento ha infatti motivato in maniera estremamente esaustiva la ritenuta gravità, riconducendola:

a) all’idoneità della condotta posta in essere a limitare i comportamenti economici indipendenti dei professionisti, mediante il divieto di utilizzare una leva concorrenziale fondamentale come la possibilità di diffondere i prezzi dei servizi;

b) alla finalizzazione della medesima a limitare comportamenti economici indipendenti dei professionisti in merito alla determinazione del prezzo delle rispettive prestazioni professionali;

c) all’aver consapevolmente ignorato il mutato contesto normativo;

d) all’essere risultata la condotta obiettivamente idonea a produrre la mancata prestazione del consenso o il ritiro del consenso alla pubblicizzazione dei prezzi delle prestazioni professionali;

e) all’aver l’Ordine ignorato l’invito dell’Autorità.

9. Riguardo al settimo motivo di ricorso, il Collegio rileva che può considerarsi legittimo, ai fini dell’irrogazione della sanzione, il riferimento al totale delle entrate contributive associative quale “fatturato” ex art. 15 l. n. 287/90, atteso che la nozione di cui a tale norma di legge non può che essere intesa in senso lato, in riferimento ai soggetti sanzionati e alla loro conformazione associativa.

Nel caso di specie la contribuzione associativa ben poteva essere presa a parametro, come già evidenziato da questa Sezione, secondo la quale – in relazione a sanzione “anticoncorrenziale” avverso Ordine professionale – tale modalità era legittima “…avuto riguardo agli orientamenti contenuti nella Comunicazione della Commissione Europea 2006/C 210/02 recante orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento CE n. 1/2003. Inoltre, come già affermato dalla Sezione (sentenza 11 marzo 2005 n. 1809), deve ritenersi corretta la determinazione della sanzione da irrogarsi, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 287 del 1990, a carico di un ente di tipo associativo assumendo quale base di computo le entrate contributive ad esso proprie, per quanto queste non ineriscano ad un fatturato in senso stretto” (Tar Lazio, Sez. I, 25.2.11, n. 1757).

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la peculiarità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Giulia Ferrari, Consigliere

Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore

Il Presidente – L’Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)