Corte di Giustizia CE, Sez. III, 29 aprile 2010, n. 446, sulla non applicazione della Direttiva 2002/46/CE alla fissazione di quantitativi massimi di vitamine e minerali utilizzabili negli integratori alimentari allorché, in assenza di un pericolo probabile per la salute delle persone, non sono stati stabiliti limiti massimi tollerabili per tali sostanze, salvo siffatta misura non sia giustificata in forza del principio di precauzione;
Corte di Giustizia CE, Sez. III, 29 aprile 2010, n. 446
Tutela della salute – Principio di precauzione – Direttiva 2002/46/CE – Valutazione dei rischi fondata su dati scientifici generalmente riconosciuti – Ammessa.
Nel procedimento C-446/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia), con decisione 17 dicembre 2007, pervenuta in cancelleria il 9 ottobre 2008, nella causa
Solgar Vitamin’s France,
Valorimer SARL,
Christian Fenioux,
L’Arbre de Vie SARL,
Source Claire,
Nord Plantes EURL,
RCS Distribution,
Ponroy Santé,
Syndicat de la Diététique et des Compléments Alimentaires
contro
Ministre de l’Économie, des Finances et de l’Emploi,
Ministre de la Santé, de la Jeunesse et des Sports,
Ministre de l’Agriculture et de la Peche,
con l’intervento di:
Syndicat de la Diététique et des Compléments Alimentaires,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. G. Arestis, J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig. N. Jääskinen
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Solgar Vitamin’s Francia, la Valorimer SARL, il sig. Fenioux, L’Arbre de Vie SARL, la Source Claire, la Nord Plantes EURL, la RCS Distribution e la Ponroy Santé, dall’avv. P. Beucher, avocat;
– per il Syndicat de la Diététique e des Compléments Alimentaires, dall’avv. J.-C. André, avocat;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e A. Adam nonché dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti;
– per il governo polacco, dal sig. M. Dowgielewicz, in qualità di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dalle sig.re L. Pignataro-Nolin e M. Owsiany-Hornung, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 dicembre 2009,
ha pronunciato la seguente
(Torna su ) Fatto
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 5, 11 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari (GU L 183, pag. 51).
2 Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia che vede la Solgar Vitamin’s France, la Valorimer SARL, il sig. Fenioux, L’Arbre de Vie SARL, la Source Claire, la Nord Plantes EURL, la RCS Distribution e la Ponroy Santé (in prosieguo, congiuntamente, i «ricorrenti nella causa principale»), nonché il Syndicat de la Diététique et des Compléments Alimentaires (associazione di categoria per il settore della dietetica e degli integratori alimentari; in prosieguo: il «SDCA»), contrapposti al ministre de l’Économie, des Finances et de l’Emploi (Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Occupazione), al ministre de la Santé, de la Jeunesse et des Sports (Ministro della Sanità, delle Politiche Giovanili e delle Attività sportive), e al ministre de l’Agriculture et de la Pêche (Ministro dell’Agricoltura e della Pesca) in merito al decreto interministeriale del 9 maggio 2006 relativo agli alimenti che possono essere impiegati nella fabbricazione degli integratori alimentari (JORF del 28 maggio 2006, pag. 7977; in prosieguo: il «decreto 9 maggio 2006»).
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 Ai sensi dei ‘considerando’ primo, secondo, quinto, tredicesimo, quattordicesimo e sedicesimo della direttiva 2002/46:
«(1) Sono commercializzati in numero crescente nella Comunità prodotti alimentari contenenti fonti concentrate di sostanze nutritive, proposti quali supplementi delle sostanze nutritive assunte con la normale alimentazione.
(2) Questi prodotti sono assoggettati negli Stati membri a disposizioni nazionali eterogenee, che possono ostar[e alla loro] libera circolazione ed instaurare condizioni di concorrenza ineguali, con dirette ripercussioni sul buon funzionamento del mercato interno. È pertanto necessario disciplinare a livello comunitario i prodotti di questo tipo commercializzati come prodotti alimentari.
(…)
(5) Per garantire ai consumatori un elevato livello di tutela e una maggior facilità di scelta, è necessario che i prodotti commercializzati siano sicuri e rechino opportuna e corretta etichettatura.
(…)
(13) L’assunzione di vitamine e minerali in quantità eccessive può dar luogo a reazioni avverse per la salute. Tale rischio giustifica la fissazione, secondo i casi, di livelli massimi che possono essere contenuti negli integratori alimentari in condizioni di sicurezza. Tali livelli dovrebbero garantire che il normale uso del prodotto nelle modalità indicate dal fabbricante non comporti rischi per il consumatore.
(14) A tal fine, nel fissare le quantità massime occorre tener conto a un tempo dei livelli tollerabili delle vitamine e dei minerali risultanti da valutazioni dei rischi condotte nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti e del livello di assunzione di questi nutrienti mediante la normale alimentazione. Nella fissazione delle quantità massime si terranno anche in debito conto i valori di riferimento.
(…)
(16) L’adozione, sulla base dei criteri esposti nella presente direttiva e degli opportuni pareri scientifici, di valori specificanti i livelli massimi e minimi di vitamine e minerali consentiti negli integratori alimentari costituirebbe un provvedimento di attuazione da affidare alla Commissione».
4 L’art. 1, n. 1, della direttiva 2002/46 così prevede:
«La presente direttiva si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali. Tali prodotti sono forniti al consumatore solo preconfezionati».
5 L’art. 2 di tale direttiva così recita:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) “integratori alimentari”: i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili, polveri in bustina, liquidi contenuti in fiale, flaconi a contagocce e altre forme simili, di liquidi e polveri destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari;
b) “sostanze nutritive” o “nutrienti”, le seguenti sostanze:
i) le vitamine;
ii) i minerali».
6 L’art. 3 di tale direttiva così dispone:
«Gli Stati membri provvedono affinché gli integratori alimentari possano essere commercializzati nella Comunità solo se conformi al disposto della presente direttiva».
7 L’art. 5 della stessa direttiva è formulato nel modo seguente:
«1. I livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari per ogni dose giornaliera raccomandata dal fabbricante sono stabiliti tenendo conto di quanto segue:
a) i livelli tollerabili di vitamine e minerali risultanti da valutazioni dei rischi condotte nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti, tenendo conto, se del caso, dei livelli variabili di sensibilità dei diversi gruppi di consumatori;
b) l’apporto di vitamine e minerali da altre fonti alimentari.
2. All’atto della fissazione dei livelli quantitativi massimi di cui al paragrafo 1, si tiene debitamente conto anche dei valori di riferimento di vitamine e minerali per la popolazione.
3. Per garantire che gli integratori alimentari contengano quantità sufficienti di vitamine e minerali, è opportunamente fissato un livello quantitativo minimo per dose giornaliera raccomandata dal fabbricante.
4. I livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 sono definiti secondo la procedura di cui all’articolo 13, paragrafo 2».
8 L’art. 11 della direttiva 2002/46 recita come segue:
«1. Fatto salvo l’articolo 4, paragrafo 7, gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre restrizioni, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione, presentazione o etichettatura, agli scambi di prodotti di cui all’articolo 1 che siano conformi alla presente direttiva e, se del caso, alle disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa.
2. Ferme restando le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea, e in particolare gli articoli 28 e 30, il paragrafo 1 lascia impregiudicate le normative nazionali applicabili in assenza di disposizioni comunitarie di esecuzione della presente direttiva».
9 Ai sensi dell’art. 12 di tale direttiva:
«1. Se uno Stato membro, in base a nuovi dati o ad un riesame di dati preesistenti effettuato successivamente all’adozione della presente direttiva o di disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa, constata con motivazione circostanziata che un prodotto di cui all’articolo 1, pur ottemperando a dette disposizioni, presenta un pericolo per la salute umana, può in via provvisoria sospendere o limitare l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi nel proprio territorio. Esso ne informa immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri, precisando i motivi che giustificano la decisione.
2. La Commissione esamina quanto prima i motivi addotti dallo Stato membro interessato e consulta gli Stati membri in sede di comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, quindi emette tempestivamente un parere e prende i provvedimenti del caso.
3. Se la Commissione ritiene che per porre rimedio alla situazione di cui al paragrafo 1 e per garantire la tutela della salute umana siano necessarie modifiche della presente direttiva o delle relative disposizioni di esecuzione, essa avvia a tal fine la procedura prevista all’articolo 13, paragrafo 2. In tal caso lo Stato membro che abbia adottato misure di salvaguardia può mantenerle in vigore fino all’adozione delle modifiche».
10 L’art. 13 di tale direttiva così prevede:
«1. La Commissione è assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, istituito dal regolamento (CE) [del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1)] (in prosieguo denominato: il “comitato”).
2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione [del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 184, pag. 23)] tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.
Il periodo di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.
3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno».
11 In forza dell’art. 15, primo comma, della direttiva 2002/46 gli Stati membri dovevano adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva stessa al più tardi il 31 luglio 2003 ed informarne immediatamente la Commissione.
12 Gli allegati I e II della direttiva 2002/46 elencano, rispettivamente, le «[v]itamine e minerali consentiti nella fabbricazione di integratori alimentari» e le «[s]ostanze vitaminiche e minerali consentite per la fabbricazione di integratori alimentari».
La normativa nazionale
13 Il decreto 9 maggio 2006, adottato in applicazione dell’art. 5 del decreto 20 marzo 2006, n. 2006-352, relativo agli integratori alimentari (JORF del 25 marzo 2006, pag. 4543) fissa, in particolare, un elenco di vitamine e minerali che possono essere utilizzati per la fabbricazione di integratori alimentari nonché le dosi giornaliere massime che non devono essere superate nell’ambito di tale utilizzo.
14 Per quanto riguarda il fluoro, l’allegato III del decreto 9 maggio 2006 fissa la dose giornaliera massima di tale minerale a 0 mg.
Causa principale e questioni pregiudiziali
15 Con i ricorsi presentati l’11, il 13, il 17, il 18, il 24 e il 28 luglio 2006 dinanzi al giudice del rinvio, i ricorrenti nella causa principale e il SDCA hanno chiesto l’annullamento del decreto 9 maggio 2006. Il SDCA è, inoltre, intervenuto a sostegno dei ricorrenti nella causa principale.
16 In particolare, i ricorrenti nella causa principale e il SDCA sostengono che la direttiva 2002/46 osta a qualsiasi intervento effettuato mediante un provvedimento nazionale relativo alla fissazione dei quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari.
17 Essi contestano comunque le modalità di fissazione delle dosi giornaliere massime di vitamine e minerali che possono essere utilizzate nella fabbricazione degli integratori alimentari, previste dal decreto 9 maggio 2006.
18 È in tal contesto che il Conseil d’État ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la direttiva [2002/46], in particolare i suoi artt. 5, n. 4, e 11, n. 2, debba interpretarsi nel senso che, pur spettando in via di principio alla Commissione stabilire i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari, gli Stati membri restano competenti ad adottare una normativa in materia fino a quando la Commissione non abbia adottato l’atto comunitario richiesto.
2) In caso di risposta affermativa a tale questione:
a) se gli Stati membri, tenuti a rispettare le disposizioni degli artt. 28 [CE] e 30 (…) CE per fissare i livelli quantitativi massimi, debbano altresì ispirarsi ai criteri stabiliti all’art. 5 della direttiva [2002/46], ivi compreso il requisito di una valutazione dei rischi condotta nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti in un settore caratterizzato ancora da una relativa incertezza;
b) se uno Stato membro possa fissare dei livelli massimi qualora sia impossibile, come nel caso del fluoro, quantificare con precisione gli apporti in vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari, segnatamente dall’acqua di distribuzione, per ogni gruppo di consumatori e territorio per territorio; se si possa, in tal caso, fissare un tasso nullo in presenza di rischi accertati, senza ricorrere alla procedura di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva [2002/46];
c) se nella fissazione dei livelli massimi, essendo possibile tener conto dei livelli variabili di sensibilità di diversi gruppi di consumatori ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [2002/46], uno Stato membro possa altresì fondarsi sul fatto che una misura riguardante il solo pubblico particolarmente esposto al rischio, ad esempio un’etichettatura adeguata, possa dissuadere tale gruppo a far ricorso ad una sostanza nutritiva ad esso benefica a basse dosi; se la considerazione di tale diversa sensibilità possa condurre ad applicare all’insieme della popolazione il livello massimo adatto ad un pubblico fragile, segnatamente i bambini;
d) in quale misura si possano stabilire dei livelli massimi in assenza di livelli di tolleranza ove non sussista un pericolo accertato per la salute; più in generale, in quale misura e a quali condizioni la ponderazione dei criteri da considerare possa condurre a fissare livelli massimi sensibilmente inferiori ai livelli tollerabili ammessi per tali sostanze nutritive».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
19 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la direttiva 2002/46 debba essere interpretata nel senso che gli Stati membri restano competenti ad adottare una disciplina relativa alle quantità massime di vitamine e di minerali che possono essere utilizzate nella fabbricazione degli integratori alimentari nei limiti in cui la Commissione non abbia stabilito tali quantità.
20 Dall’art. 5, n. 4, di detta direttiva risulta che le quantità massime e minime di vitamine e di minerali che possono essere utilizzate nella fabbricazione degli integratori alimentari sono stabilite dalla Commissione secondo la procedura prevista all’art. 13, n. 2, della stessa direttiva.
21 Orbene, è certo che la Commissione non ha ancora stabilito detti quantitativi.
22 Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che, ai sensi dell’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46, in assenza della disciplina dell’Unione specifica che tale direttiva prevede, le disposizioni nazionali possono essere applicate fatte salve le disposizioni del Trattato (v. sentenza 15 novembre 2007, causa C-319/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I-9811, punto 84).
23 Ne consegue che, ferme restando le disposizioni previste dal Trattato, qualora la Commissione non adotti provvedimenti che stabiliscano, ai sensi dell’art. 5, n. 4, di detta direttiva, le quantità massime e minime di vitamine e minerali che possono essere utilizzate nella fabbricazione degli integratori alimentari, si applicano le disposizioni nazionali che prevedono tali quantitativi.
24 In tal contesto, occorre risolvere la prima questione dichiarando che la direttiva 2002/46 deve essere interpretata nel senso che, fatte salve le disposizioni del Trattato, gli Stati membri restano competenti ad adottare una disciplina relativa alle quantità massime di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari nei limiti in cui la Commissione non abbia stabilito tali quantità conformemente all’art. 5, n. 4, di detta direttiva.
Sulla seconda questione, lett. a)
25 Con la lett. a) della seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se, oltre all’obbligo di osservare gli artt. 28 CE e 30 CE, gli Stati membri siano tenuti anche ad ottemperare ai parametri che figurano all’art. 5 della direttiva 2002/46, incluso il requisito di una valutazione dei rischi fondata su dati scientifici generalmente riconosciuti, all’atto di fissare i livelli quantitativi massimi di vitamine e di minerali che possono essere utilizzati nella fabbricazione degli integratori alimentari.
26 Sebbene gli Stati membri restino competenti ad adottare una disciplina relativa a tali quantitativi, nei limiti in cui la Commissione non abbia stabilito i medesimi quantitativi in conformità all’art. 5, n. 4, della direttiva, nell’esercizio di tale competenza essi devono pur sempre rispettare il diritto dell’Unione.
27 Al riguardo, si deve ricordare che l’obbligo di uno Stato membro di adottare tutti i provvedimenti necessari per raggiungere il risultato prescritto da una direttiva è un obbligo cogente, previsto dall’art. 249, terzo comma, CE e dalla direttiva stessa (sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 40).
28 Orbene, il risultato prescritto dalla direttiva 2002/46 non sarebbe raggiunto se gli Stati membri non tenessero conto dei parametri contenuti nell’art. 5 di tale direttiva, qualora, in attesa che la Commissione stabilisca a norma del n. 4 di detta disposizione i quantitativi massimi di vitamine e minerali che possono essere utilizzati nella fabbricazione degli integratori alimentari, essi stessi stabilissero tali quantitativi.
29 Infatti, l’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46 costituisce una disposizione fondamentale per quanto riguarda la fissazione dei quantitativi massimi di vitamine e di minerali che possono essere utilizzati nella fabbricazione degli integratori alimentari, poiché esso espone i parametri di cui occorre tenere conto per fissare detti quantitativi.
30 Tali parametri sono fatti derivare da un’analisi dei rischi, ai sensi del regolamento n. 178/2002, il quale, in base al suo art. 1, n. 2, è destinato ad applicarsi a tutte le misure riguardanti la sicurezza alimentare, incluse quelle adottate al livello degli Stati membri.
31 Risulta peraltro dall’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46, letto in combinato disposto con i ‘considerando’ tredicesimo e quattordicesimo della stessa direttiva, che la fissazione dei quantitativi massimi di vitamine e minerali che possono essere utilizzati nella fabbricazione di integratori alimentari in base a tali parametri è diretta a garantire la tutela della salute delle persone.
32 In tal contesto, occorre risolvere la seconda questione, lett. a), dichiarando che, oltre all’obbligo di osservare gli artt. 28 CE e 30 CE, gli Stati membri sono tenuti anche ad ottemperare ai parametri che figurano all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46, incluso il requisito di una valutazione dei rischi fondata su dati scientifici generalmente riconosciuti, all’atto di fissare i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari, in attesa che la Commissione stabilisca tali quantitativi ai sensi del n. 4 di detto art. 5.
Sulla seconda questione, lett. b)
33 Con la lett. b) della sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se, allorchè è impossibile calcolare con precisione gli apporti in vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari, uno Stato membro, qualora vi siano rischi accertati, possa fissare ad un valore nullo il quantitativo massimo di un minerale utilizzabile ai fini della fabbricazione di integratori alimentari, senza fare ricorso alla procedura prevista all’art. 12 della direttiva 2002/46.
34 Tale questione, basata sulla premessa soggetta alla valutazione del giudice del rinvio secondo cui è impossibile calcolare con precisione gli apporti in fluoro derivanti da diverse fonti alimentari, deriva dal fatto che, con il decreto 9 maggio 2006, le autorità francesi hanno fissato la dose giornaliera massima di tale minerale a 0 mg.
35 Secondo costante giurisprudenza, spetta agli Stati membri, in assenza di armonizzazione e in quanto sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, decidere il livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone nonché il requisto della previa autorizzazione all’immissione in commercio delle derrate alimentari, pur tenendo conto del principio della libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione (sentenze 23 settembre 2003, causa C-192/01, Commissione/Danimarca, Racc. pag. I-9693, punto 42, e 5 febbraio 2004, causa C-24/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1277, punto 49).
36 Tale potere di valutazione relativo alla tutela della salute è particolarmente importante quando è dimostrato che sussistono incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica in merito a determinate sostanze, quali le vitamine, che non sono generalmente nocive di per sé, ma possono produrre effetti nocivi particolari solo se consumate in misura eccessiva insieme al complesso degli alimenti la cui composizione è imprevedibile e incontrollabile (citate sentenze Commissione/Danimarca, punto 43, e Commissione/Francia, punto 50).
37 Occorre, peraltro, ricordare che, come è stato dichiarato ai punti 24 e 32 della presente sentenza, nei limiti in cui la Commissione non abbia stabilito, in conformità all’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46, i quantitativi massimi di vitamine e di minerali che possono essere utilizzati per la fabbricazione di integratori alimentari, gli Stati membri restano competenti a fissare tali quantitativi e, nell’esercizio di tale competenza, essi devono in particolare ottemperare ai parametri che figurano a tale art. 5, nn. 1 e 2.
38 In forza dell’art. 3 della direttiva 2002/46, soltanto gli integratori alimentari conformi alle disposizioni contenute nella direttiva possono essere commercializzati nell’Unione.
39 Peraltro, ai sensi dell’art. 11, n. 1, di detta direttiva, gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre restrizioni al commercio degli integratori alimentari che sono conformi alla direttiva e, eventualmente, agli atti dell’Unione emanati per la sua attuazione, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione o di presentazione o etichettatura dei medesimi.
40 Gli Stati membri mantengono soltanto possibilità limitate di restringere la commercializzazione di tali integratori alimentari. L’art. 12 della direttiva 2002/46 prevede infatti che se uno Stato membro, in base a nuovi dati o ad un riesame di dati preesistenti effettuato successivamente all’adozione della presente direttiva o di disposizioni dell’Unione di esecuzione della stessa, constata con motivazione circostanziata che un integratore alimentare, pur ottemperando a detta direttiva e a tali disposizioni dell’Unione, presenta un pericolo per la salute umana, può in via provvisoria sospendere o limitare l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi nel proprio territorio.
41 Conseguentemente, l’applicazione dell’art. 12 della direttiva 2002/46 è subordinata all’attuazione della direttiva e, in particolare, dell’art. 5 della stessa, cioè alla fissazione di tali quantitativi massimi, previsti in quest’ultimo articolo, da parte della Commissione.
42 Poiché la Commissione non ha ancora stabilito tali quantitativi massimi, detto art. 12 non è applicabile.
43 Al riguardo, va ricordato che i quantitativi massimi di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46 devono essere stabiliti sulla base dei parametri che compaiono in tale disposizione.
44 In questo contesto non si può escludere che la considerazione di uno o più elementi contemplati all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46 possa condurre alla fissazione di un valore molto basso, o anche nullo, per quanto riguarda il quantitativo massimo di una vitamina o di un minerale utilizzabile nella fabbricazione di integratori alimentari, sebbene tale vitamina o tale minerale rientri tra le vitamine e i minerali che possono essere utilizzati per la fabbricazione di integratori alimentari, elencati all’allegato I di detta direttiva.
45 In particolare, l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 2002/46 prevede che detti quantitativi massimi sono fissati in funzione della dose giornaliera raccomandata dal fabbricante tenendo conto degli apporti di vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari.
46 Tale disposizione comporta pertanto che in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, nella quale, all’atto della fissazione del quantitativo massimo di fluoro che può essere utilizzato nella fabbricazione degli integratori alimentari, secondo il giudice del rinvio è impossibile stabilire con precisione gli apporti in fluoro provenienti da altre fonti alimentari, si tiene conto dell’esistenza del rischio probabile che tali apporti raggiungano i limiti massimi tollerabili stabiliti per tale minerale.
47 In una situazione siffatta, la considerazione di tale rischio può condurre alla fissazione di un valore nullo per quanto riguarda il quantitativo massimo di fluoro utilizzabile nella fabbricazione di integratori alimentari.
48 In tali condizioni, la lett. b) della seconda questione, va risolta dichiarando che la direttiva 2002/46 deve essere interpretata nel senso che, in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, in cui all’atto della fissazione del quantitativo massimo di un minerale utilizzabile nella fabbricazione degli integratori alimentari sia impossibile calcolare con precisione gli apporti di tale minerale provenienti da altre fonti alimentari, e nei limiti in cui la Commissione non abbia stabilito i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari in conformità all’art. 5, n. 4, di detta direttiva, uno Stato membro, se esiste il rischio probabile che tali apporti raggiungano i limiti massimi tollerabili stabiliti per il minerale di cui trattasi e fatta salva l’osservanza degli artt. 28 CE e 30 CE, può fissare tale quantitativo massimo ad un valore nullo senza fare ricorso alla procedura prevista all’art. 12 della stessa direttiva.
Sulla seconda questione, lett. c)
49 Con la lett. c) della seconda questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se, considerando che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46 prevede che, nel fissare i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari, si tenga conto della differenza dei livelli di sensibilità di diversi gruppi di consumatori, uno Stato membro possa tenere conto anche del fatto che una misura diretta soltanto ad un gruppo di consumatori particolarmente esposto ad un rischio, come un’etichettatura adeguata, potrebbe dissuadere tale gruppo dal fare ricorso ad un nutrimento che è per esso benefico ad un basso dosaggio e se la considerazione di tale differenza di sensibilità possa indurre ad applicare a tutta la popolazione tale quantitativo massimo idoneo per un gruppo di consumatori fragili, nello specifico i bambini.
50 Al riguardo, va anzitutto osservato che la circostanza che un’etichettatura adeguata possa dissuadere il gruppo di consumatori a cui è rivolta dall’avvalersi di un alimento benefico per esso a basso dosaggio non compare tra i parametri menzionati all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46, di cui occorre tenere conto per fissare i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari.
51 Peraltro, va ricordato che un’adeguata etichettatura, che informi i consumatori sulla natura, sugli ingredienti e sulle caratteristiche dei prodotti alimentari arricchiti, può consentire ai consumatori potenzialmente minacciati da un consumo eccessivo di una sostanza nutritiva aggiunta a tali prodotti di decidere autonomamente se usare o meno detti prodotti (v. sentenza Commissione/Francia, cit., punto 75), e che tale soluzione, pur rispondendo all’obiettivo di tutela della salute, comporta restrizioni meno importanti alla libera circolazione delle merci (v. sentenza Commissione/Germania, cit., punto 95).
52 Del pari risulta dal quinto ‘considerando’ della direttiva 2002/46 che un’etichettatura adeguata e appropriata contribuisce a garantire un elevato livello di tutela dei consumatori e una maggiore facilità di scelta per essi.
53 Va osservato, per quanto riguarda la possibilità di applicare alla totalità della popolazione un quantitativo massimo adatto ad un gruppo di consumatori fragili, quale quello dei bambini, tenuto conto della differenza dei livelli di sensibilità dei diversi gruppi di consumatori, che tale differenza costituisce un elemento di cui, in forza dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46, si può tenere conto nel contesto di una valutazione scientifica dei rischi destinata a stabilire i limiti massimi tollerabili per le vitamine e i minerali.
54 Tuttavia, nell’esercizio del loro potere discrezionale in materia di tutela della salute, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità. I mezzi che essi scelgono devono essere pertanto limitati a quanto effettivamente necessario per garantire la tutela della salute o per soddisfare esigenze imperative attinenti, ad esempio, alla difesa dei consumatori. I mezzi suddetti devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari (v. citate sentenze Commissione/Danimarca, punto 45; Commissione/Francia, punto 52, e Commissione/Germania, punto 87).
55 Spetta, inoltre, alle autorità nazionali dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati dall’art. 30 CE e, segnatamente, che la commercializzazione del prodotto di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute (v., in tal senso, citate sentenze Commissione/Danimarca, punto 46, e Commissione/Francia, punto 53).
56 Deve pertanto essere accertato che, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, un provvedimento consistente nell’applicare a tutta la popolazione un quantitativo massimo adatto ad un gruppo di consumatori fragili, quale quello dei bambini, è necessario per garantire la tutela della salute delle persone appartenenti a tale gruppo, in quanto la commercializzazione di integratori alimentari il cui tenore in nutrienti eccedesse tale quantitativo massimo presenterebbe un rischio reale per la salute, e che tale obiettivo non può essere raggiunto con misure meno restrittive degli scambi all’interno dell’Unione.
57 Sulla base di quanto precede, spetta al giudice del rinvio valutare in particolare se un’etichettatura adeguata, che informi i consumatori sulla natura, sugli ingredienti e sulle caratteristiche degli integratori alimentari di cui trattasi, costituisca una misura sufficiente per permettere di garantire la tutela della salute di tali persone, in particolare allo scopo di evitare gli effetti nocivi collegati ad un consumo eccessivo dei nutrienti in esame.
58 Al riguardo, oltre agli elementi menzionati ai punti 51 e 55 della presente sentenza, va ricordato che in forza del sesto ‘considerando’ della direttiva della Commissione 16 maggio 2003, 2003/40/CE, che determina l’elenco, i limiti di concentrazione e le indicazioni di etichettatura per i componenti delle acque minerali naturali, nonché le condizioni d’utilizzazione dell’aria arricchita di ozono per il trattamento delle acque minerali naturali e delle acque sorgive (GU L 126, pag. 34), al fine di proteggere i lattanti e i bambini in tenera età che costituiscono la popolazione più sensibile rispetto al rischio di fluorosi, è opportuno inoltre prevedere un’indicazione di etichettatura per le acque il cui tenore in fluoro è superiore a questo valore guida per le acque potabili raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità, che sia facilmente visibile per il consumatore.
59 Così, l’art. 4, n. 1, della direttiva 2003/40 prevede che le acque minerali naturali la cui concentrazione in fluoro è superiore a 1,5 mg/l devono includere l’indicazione di etichettatura «contiene più di 1,5 mg/l di fluoro: non ne è opportuno il consumo regolare da parte dei lattanti e dei bambini di età inferiore a 7 anni». Il n. 2 di tale art. 4 aggiunge che tale indicazione di etichettatura deve comparire immediatamente vicino alla denominazione di vendita in caratteri nettamente visibili.
60 In un tale contesto, occorre anche ricordare che se è vero che il criterio dell’esigenza nutrizionale della popolazione di uno Stato membro può avere un’incidenza nell’ambito della valutazione approfondita, effettuata da quest’ultimo, del rischio che l’aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari può presentare per la salute, la mancanza di un tale fabbisogno non può, di per sé, giustificare un divieto assoluto, sulla base dell’art. 30 CE, di commercializzare prodotti alimentari legalmente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri (v. citate sentenze Commissione/Danimarca, punto 54; Commissione/Francia, punti 59 e 60, nonché 9 giugno 2005, cause riunite C-211/03, C-299/03 e da C-316/03 a C-318/03, HLH Warenvertrieb e Orthica, punto 69).
61 Sulla base di quanto precede, occorre risolvere il quesito posto alla lett. c) della seconda questione dichiarando che l’art. 5 della direttiva 2002/46 deve essere interpretato nel senso che la circostanza che un’etichettatura adeguata possa dissuadere il gruppo di consumatori cui è rivolta dall’avvalersi di un nutriente benefico per esso a basso dosaggio non costituisce un elemento pertinente a fissare i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari. La considerazione della differenza dei livelli di sensibilità di diversi gruppi di consumatori può permettere ad uno Stato membro di applicare alla totalità della popolazione siffatto quantitativo massimo adatto ad un gruppo di consumatori specifico, come quello dei bambini, soltanto se tale misura è circoscritta a quanto necessario per garantire la tutela della salute delle persone che appartengono a tale gruppo e se siffatta misura è proporzionata all’obiettivo da essa perseguito, ove quest’ultimo non possa essere raggiunto con misure meno restrittive degli scambi all’interno dell’Unione, il che spetta al giudice del rinvio verificare.
Sulla seconda questione, lett. d)
62 Con la lett. d) della seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se possano essere fissati quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili per la fabbricazione degli integratori alimentari allorché, in assenza di un pericolo certo per la salute, per tali sostanze nutritive non sono stati stabiliti limiti massimi tollerabili e, più in generale, in qual misura e a quali condizioni sarebbe possibile fissare tali quantitativi massimi ad un livello sensibilmente inferiore a quello dei limiti massimi tollerabili ammessi per dette sostanze nutritive.
63 Va ricordato che, come si è dichiarato al punto 32 della presente sentenza, la fissazione di quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili per la fabbricazione di integratori alimentari deve essere basata su elementi che compaiano all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46.
64 Al riguardo, ai sensi di tale art. 5, n. 1, lett. a), tali quantitativi sono fissati dal fabbricante in funzione della dose giornaliera raccomandata tenendo conto dei limiti massimi tollerabili stabiliti per le vitamine e per i minerali, in seguito ad una valutazione scientifica dei rischi fondata su dati scientifici generalmente riconosciuti, tenuto conto all’occorrenza della differenza dei livelli di sensibilità di diversi gruppi di consumatori.
65 Ne deriva che la fissazione di tali quantitativi deve segnatamente riposare sulla considerazione dei limiti massimi tollerabili stabiliti per le vitamine e i minerali di cui trattasi, in seguito ad una valutazione scientifica dei rischi per la salute delle persone basata su dati scientifici pertinenti, e non su considerazioni puramente ipotetiche.
66 Orbene, la fissazione di quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione di integratori alimentari allorché, in assenza di un pericolo certo per la salute delle persone, non sono stati fissati limiti massimi tollerabili per tali nutrienti sulla base di siffatta valutazione scientifica, non risponde a tale requisito.
67 In tal caso, sebbene in assenza di tale pericolo siffatti limiti non siano stati stabiliti, una valutazione scientifica del rischio potrebbe rivelare che l’incertezza scientifica persiste quanto all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute. In tali circostanze occorre ammettere che uno Stato membro in forza del principio di precauzione può adottare misure di protezione senza dover attendere che la concretezza e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate. Tuttavia, la valutazione del rischio non può basarsi su considerazioni puramente ipotetiche (v. citate sentenze Commissione/Danimarca, punto 49, e Commissione/Francia, punto 56).
68 Ai fini della valutazione del rischio in questione, non sono pertinenti solo gli effetti specifici della commercializzazione di un singolo prodotto contenente un determinato quantitativo di sostanze nutritive. Potrebbe essere opportuno prendere in considerazione l’effetto combinato della presenza sul mercato di diverse fonti, naturali o artificiali, di una determinata sostanza nutritiva e della possibile esistenza futura di fonti aggiuntive ragionevolmente prevedibili (sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 50).
69 In più casi, la valutazione di tali elementi dimostrerà che esiste un alto grado di incertezza scientifica e pratica al riguardo. Un’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall’aggiunta di sostanze nutritive che viene proposta e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale (sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 51).
70 Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, inconcludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive, purché esse siano non discriminatorie e oggettive (v. sentenza Commissione/Danimarca, cit., punti 52 e 53).
71 Per contro, dopo che sono stati stabiliti i limiti massimi tollerabili, la possibilità di fissare quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione di integratori alimentari a un livello sensibilmente inferiore a quello di tali limiti non può essere esclusa allorché la fissazione di tali limiti massimi può essere giustificata con la considerazione degli elementi che figurano all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46 ed essa è conforme al principio di proporzionalità.
72 Tale valutazione spetta al giudice del rinvio e deve essere effettuata caso per caso.
73 In tali circostanze, occorre risolvere la lett. d) della seconda questione dichiarando che la direttiva 2002/46 deve essere interpretata nel senso che osta alla fissazione di quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili per la fabbricazione degli integratori alimentari allorché, in assenza di un pericolo probabile per la salute delle persone, non sono stati stabiliti limiti massimi tollerabili per tali vitamine e tali minerali, a meno che siffatta misura non sia giustificata in forza del principio di precauzione, qualora tale valutazione scientifica dei rischi riveli che l’incertezza persiste con riferimento all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute. Dopo che sono stati stabiliti tali limiti massimi, la possibilità di stabilire siffatti quantitativi massimi ad un livello sensibilmente inferiore a quello di detti limiti non può essere esclusa qualora la fissazione di tali quantitativi massimi possa essere giustificata con la considerazione degli elementi che compaiono all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46 ed essa sia conforme al principio di proporzionalità. Tale valutazione spetta al giudice del rinvio e deve essere effettuata caso per caso.
Sulle spese
74 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari, deve essere interpretata nel senso che, fatte salve le disposizioni del Trattato CE, gli Stati membri restano competenti ad adottare una disciplina relativa ai quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari nei limiti in cui la Commissione non abbia stabilito tali quantitativi in conformità all’art. 5, n. 4, di detta direttiva.
2) Oltre all’obbligo di osservare gli artt. 28 CE e 30 CE, gli Stati membri sono tenuti anche ad ottemperare agli elementi che figurano all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46, incluso il requisito di una valutazione dei rischi fondata su dati scientifici generalmente riconosciuti, all’atto di fissare i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari, in attesa che la Commissione stabilisca tali quantitativi ai sensi del n. 4 di detto art. 5.
3) La direttiva 2002/46 deve essere interpretata nel senso che, in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, in cui all’atto della fissazione del quantitativo massimo di un minerale utilizzabile nella fabbricazione degli integratori alimentari sia impossibile calcolare con precisione gli apporti di detto minerale provenienti da altre fonti alimentari, e nei limiti in cui la Commissione europea non abbia stabilito i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari in conformità all’art. 5, n. 4, di detta direttiva, uno Stato membro, se esiste il rischio probabile che tali apporti raggiungano i limiti massimi tollerabili stabiliti per il minerale di cui trattasi e fatta salva l’osservanza degli artt. 28 CE e 30 CE, può fissare tale quantitativo massimo ad un valore nullo senza fare ricorso alla procedura prevista all’art. 12 della stessa direttiva.
4) L’art. 5 della direttiva 2002/46 deve essere interpretato nel senso che la circostanza che un’etichettatura adeguata possa dissuadere il gruppo di consumatori cui è rivolta dall’avvalersi di un nutriente benefico per esso a basso dosaggio non costituisce un elemento pertinente a fissare i quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari. La considerazione della differenza dei livelli di sensibilità di diversi gruppi di consumatori può permettere ad uno Stato membro di applicare alla totalità della popolazione siffatto quantitativo massimo adatto ad un gruppo di consumatori specifico, come quello dei bambini, soltanto se tale misura è circoscritta a quanto necessario per garantire la tutela della salute delle persone che appartengono a tale gruppo e se siffatta misura è proporzionata all’obiettivo da essa perseguito, ove quest’ultimo non può essere raggiunto con misure meno restrittive degli scambi interni all’Unione europea, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.
5) La direttiva 2002/46 deve essere interpretata nel senso che osta alla fissazione di quantitativi massimi di vitamine e di minerali utilizzabili per la fabbricazione degli integratori alimentari allorché, in assenza di un pericolo probabile per la salute delle persone, non sono stati stabiliti limiti massimi tollerabili per tali vitamine e tali minerali, a meno che siffatta misura non sia giustificata in forza del principio di precauzione, qualora tale valutazione scientifica dei rischi riveli che l’incertezza persiste con riferimento all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute. Dopo che sono stati stabiliti tali limiti massimi, la possibilità di stabilire siffatti quantitativi massimi ad un livello sensibilmente inferiore a quello di detti limiti non può essere esclusa qualora la fissazione di tali quantitativi massimi possa essere giustificata con la considerazione degli elementi che compaiono all’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 2002/46 ed essa sia conforme al principio di proporzionalità. Tale valutazione spetta al giudice del rinvio e deve essere effettuata caso per caso.
Scarica il PDF