Corte Costituzionale, 22 luglio 2010, n. 278, sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune Regioni in ordine alla disciplina prevista dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, che ha delegato il Governo a definire i criteri per la localizzazione degli impianti per la produzione di energia nucleare
Corte Costituzionale, 22 luglio 2010, n. 278
Regioni Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Piemonte, Lazio, Calabria, Marche, Emilia-Romagna e Molise – Illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 9, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) il quale stabilisce che «al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico-ricettive all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici» – Introduzione di una normativa dettagliata e specifica che oltrepassa la competenza del legislatore statale in materia di governo del territorio.
SENTENZA N. 278
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 9, 25, commi 1 e 2, lettere a), f), g), h), l) e q), 26, comma 1, e 27, commi 14, 24, lettere c) e d), 27, 28, 31 e 34, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), promossi dalle Regioni Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Piemonte, Lazio, Calabria, Marche, Emilia-Romagna e Molise con ricorsi notificati il 29, il 28, il 29, il 30, il 29 settembre e il 12 ottobre 2009, depositati in cancelleria il 2, il 5, il 6, il 7 e il 16 ottobre 2009 e rispettivamente iscritti ai nn. 69, 70, 71, 72, 73, 75, 76, 77, 82, 83 e 91 del registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di intervento dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), del Codacons, Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, dell’Enel s.p.a. e di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.;
udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per le Regioni Umbria e Liguria, Maria Liberti per la Regione Puglia, Roberto Cavallo Perin per la Regione Piemonte, Claudio Chiola per la Regione Lazio, Stefano Grassi per la Regione Marche, Luigi Manzi per la Regione Calabria, Giandomenico Falcon e Rosaria Russo Valentini per la Regione Emilia-Romagna, Stefano Scarano per la Regione Molise, Beniamino Caravita di Toritto e Carlo Malinconico per l’Enel s.p.a, Alessandro Giadrossi per l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 2 ottobre (iscritto al r.r. n. 69 del 2009), la Regione Toscana ha promosso, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 9, e 25, comma 2, lettere a), f), g), e h), della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2009.
1.1. – Premette la ricorrente che ai sensi dell’impugnato art. 3, comma 9, «al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico-ricettive all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici».
Sostiene il ricorrente che la denunciata previsione violerebbe la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione de qua inciderebbe sulle competenze regionali, giacché stabilisce che i suddetti mezzi mobili, pur dovendo rispettare le condizioni strutturali e di mobilità stabilite dall’ordinamento regionale, non costituiscono, a priori, attività rilevante dal punto di vista urbanistico, edilizio e paesaggistico e, dunque, possono essere realizzate liberamente, senza alcuna forma preventiva di verifica. Secondo la difesa regionale, detta verifica, seppure in forma accelerata e semplificata, permetterebbe di garantire il rispetto di quelle condizioni strutturali e di mobilità che, in astratto, si dichiarano da rispettare.
La possibilità, per i mezzi mobili di pernottamento, di essere collocati permanentemente, senza che ciò costituisca attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici, vanificherebbe la previsione di cui all’art. 78, comma 1, lettera b), della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), in forza della quale è considerata trasformazione urbanistica ed edilizia, e come tale soggetta a permesso di costruire, «l’installazione di manufatti, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, quali esplicitamente risultino in base alle vigenti disposizioni».
L’evocata disposizione regionale – prosegue la ricorrente – trova corrispondenza nell’art. 3, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), che qualifica tali interventi come nuova costruzione.
Secondo la vigente normativa regionale, dunque, i mezzi mobili messi a disposizione del gestore del campeggio rientrano nell’ordinaria gestione del campeggio stesso e non richiedono uno specifico titolo abilitativo, purché siano destinati ad assolvere ad una funzione temporanea e come tale individuabile, essendo stabilito un termine per la loro rimozione: termine che deve risultare o nel titolo abilitativo che consente gli interventi o nel provvedimento che autorizza l’esercizio del campeggio.
Per la ricorrente, l’impugnata disposizione escluderebbe la configurazione di un simile termine, consentendo così una trasformazione del territorio incontrollata, anche dal punto di vista paesaggistico, e al di fuori da ogni forma di pianificazione.
1.2. – Le denunciate disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f), g), e h), enunciano i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa da parte del Governo per la disciplina della localizzazione di impianti di produzione di energia nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, di sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi.
Più precisamente, in sede di esercizio della delega legislativa:
– dovrà essere prevista la possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione (lettera a);
– dovranno essere determinate le modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi enti locali coinvolti, secondo quanto previsto dall’art. 120 Cost. (lettera f);
– dovrà essere previsto che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita e tutte le opere connesse siano soggetti ad autorizzazione unica rilasciata dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, d’intesa con la Conferenza unificata (lettera g);
– dovrà essere previsto che l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni interessate e che tale provvedimento sostituisce ogni atto necessario per la realizzazione delle opere, ad eccezione della VIA e della VAS (lettera h).
1.2.1. – Per la ricorrente la disposizione di cui alla lettera a) violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., anche in relazione al principio di leale collaborazione.
La dichiarazione di siti di interesse strategico nazionale, soggetti a speciali forme di vigilanza e di protezione, è finalizzata alla individuazione delle possibili aree in cui localizzare gli impianti di produzione di energia elettrica nucleare.
Per la Regione Toscana, l’impugnata disposizione appare «molto estesa», omettendo la previsione di criteri e limiti della suddetta dichiarazione, senza alcuna previsione di una intesa o analoga forma di raccordo con le Regioni territorialmente interessate. Questa individuazione interferisce con materie di competenza concorrente e residuale delle Regioni: trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, turismo. Al riguardo, la difesa regionale ricorda che la «chiamata in sussidiarietà» di funzioni amministrative impone la previsione di una intesa con le Regioni interessate, a salvaguardia delle loro attribuzioni costituzionalmente previste (sono richiamate le sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
1.2.2. – Secondo la Regione ricorrente, la disposizione di cui alla lettera f) non dovrebbe essere ritenuta applicabile nei confronti delle Regioni in quanto non rientranti tra gli «enti locali».
Ove, tuttavia, si pervenisse ad una diversa interpretazione, ne deriverebbe la violazione degli artt. 117, 118 e 120 Cost., dal momento che l’intesa, a fronte del mancato raggiungimento della quale il Governo sarebbe legittimato ad esercitare il potere sostitutivo, non sarebbe «sostituibile» in quanto «tipica manifestazione del consenso regionale ad un atto» e, dunque, espressione di autonomia. La censurata disciplina avrebbe così illegittimamente consentito allo Stato di assumere una decisione unilaterale.
Con la sentenza n. 6 del 2004 – insiste la difesa regionale – questa Corte ha qualificato l’intesa in parola come una intesa forte, «nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento», stante l’impatto che una struttura produttiva come l’impianto energetico ha su molteplici funzioni regionali. Peraltro, l’attivazione di tale potere sostitutivo parrebbe ammessa indifferentemente sia in caso di inerzia, sia nell’ipotesi in cui l’intesa non sia raggiunta perché è stato espresso un articolato dissenso. Per la ricorrente, il legislatore statale è chiamato a procedimentalizzare l’intesa, per assicurarne il carattere «forte»: la legge dovrebbe, cioè, disciplinare un procedimento teso a favorire l’avvicinamento delle parti su una posizione consensuale. Diversamente, l’intesa verrebbe declassata in un parere non vincolante.
Nel caso di specie, il legislatore statale non avrebbe previsto criteri direttivi volti ad assicurare la disciplina del procedimento dell’intesa sì da garantirne il carattere «forte», necessario per il rispetto delle competenze costituzionali di tutti gli enti di governo coinvolti.
La violazione dell’art. 120 Cost. discenderebbe, secondo la ricorrente, dalla circostanza che detta previsione non potrebbe essere applicata ad ipotesi, come quella prevista dalla disciplina impugnata, nelle quali l’ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa regionale e nella perdurante assenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni nell’ambito dei procedimenti legislativi dello Stato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la «chiamata in sussidiarietà» di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale. L’esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà certamente favorire l’opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l’adozione dell’atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l’intesa. Siffatte procedure – conclude la difesa regionale – non potranno prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte.
1.2.3. – Anche le disposizioni di cui alle lettere g) e h) sono per la ricorrente illegittime, per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., e al principio di leale collaborazione, in quanto non assicurerebbero un ruolo più incisivo alla Regione, pur versandosi in ambiti materiali di competenza regionale, a fronte di una «chiamata in sussidiarietà» ad opera del legislatore statale.
L’intesa con la Conferenza unificata non parrebbe sufficiente ai predetti fini. Benché la sentenza n. 383 del 2005 riconosca la Conferenza unificata come organo adeguatamente rappresentativo delle Regioni e degli enti locali, tutti incisi dalle diverse politiche del settore energetico, per la difesa regionale diversa sarebbe, invece, «l’intesa necessaria, a valle, al momento dell’esercizio della funzione amministrativa che lo Stato si è trattenuto. In tal caso solo l’intesa con la Regione direttamente interessata può garantire il rispetto delle attribuzioni regionali». In altri termini, l’intesa con la Conferenza unificata può costituire lo strumento sufficiente a fronte di norme legislative e di disposizioni generali, indirizzi, criteri e linee guida perché tutte queste hanno ad oggetto misure generali rivolte all’intero sistema delle autonomie. Al contrario, a fronte dello specifico atto autorizzatorio, appare costituzionalmente indispensabile l’intesa con la Regione interessata.
1.3. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
1.3.1. – Per il resistente, le doglianze aventi per oggetto l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, non terrebbero conto né dell’iter amministrativo pregresso all’esercizio delle attività turistiche ivi contemplate, né del contesto normativo generale in cui la contestata disposizione si colloca.
Quanto alla denunciata lesione delle attribuzioni regionali nella materia concorrente del «governo del territorio», la difesa erariale sottolinea che il contestato intervento normativo è stato determinato dalla necessità di comporre un dissidio giurisprudenziale relativo all’interpretazione dell’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, a mente del quale l’installazione di strutture mobili, ai fini urbanistici ed edilizi, necessita del permesso di costruire. In passato, infatti, era invalsa una interpretazione giurisprudenziale che richiedeva un apposito permesso di costruire per l’installazione di mezzi di pernottamento mobili nei campeggi.
In questa prospettiva – puntualizza la difesa dello Stato – l’impugnata disposizione opera quale specificazione ulteriore del succitato art. 3 (L), comma 1, lettera e.5), quale espressione di un principio fondamentale in forza del quale l’installazione ed il rimessaggio di mezzi mobili di pernottamento non costituisce attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici ove realizzati all’interno di strutture ricettive all’aria aperta regolarmente autorizzate. Invero, detta disposizione legislativa statale annovera tra gli interventi di nuova costruzione «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee».
Mediante i titoli legittimanti l’apertura e l’utilizzo delle predette strutture è stato espressamente autorizzato quel tipo di «utilizzazione e trasformazione edilizio-urbanistica del territorio» che ha proprio nelle suddette installazioni la sua peculiare connotazione. Ne consegue l’illegittimità delle installazioni per le quali non siano stati ottenuti preventivamente analoghi titoli edilizi.
Al riguardo, la parte resistente precisa che i manufatti installabili nelle strutture ricettive all’aria aperta sono soltanto quelle «universalmente note come attrezzature tipiche del campeggio».
D’altro canto – prosegue l’Avvocatura dello Stato – la contestata disposizione non autorizza sic et simpliciter l’installazione in oggetto, giacché ne subordina la legittimità alla conformità alle pertinenti leggi regionali, in relazione ai limiti oggettivi ed alle caratteristiche dei mezzi di pernottamento, affinché possano essere qualificati come mezzi «mobili».
La previsione di una eventuale collocazione «permanente» di tali mezzi, prevista dall’art. 3, comma 9, non lede le rivendicate attribuzioni regionali, in quanto tale enunciato va letto, in chiave funzionale, alla luce di quanto disposto dal periodo successivo, che fa esplicito riferimento allo svolgimento dell’attività turistica. Sicché, una volta cessata la relativa attività economica, verrà contestualmente meno la legittima installazione delle strutture mobili. In definitiva, il concetto di «permanenza» va inteso nel senso di consentire al gestore del campeggio di eseguire, durante il periodo di chiusura dell’attività, la manutenzione ed il rimessaggio delle strutture mobili senza necessità di una rimozione dalla loro ubicazione funzionale.
Quanto, invece, alla asserita violazione della potestà legislativa residuale in materia di «turismo», il resistente obietta, innanzitutto, che la censurata disposizione «è dettata in materia di “governo del territorio” e il riferimento al turismo riguarda la finalità della disposizione» stessa.
In secondo luogo – continua la difesa dello Stato – la legge n. 99 del 2009 si è prefissa l’obiettivo di dirimere «un conflitto trasversale tra competenze statali, regionali ed interpretazioni giurisprudenziali che ponevano gli imprenditori di settore in una condizione di costante incertezza giuridica». In questo quadro, per l’Avvocatura dello Stato la disposizione de qua rappresenta la «legittima manifestazione delle competenze dello Stato, unico titolare di un’azione di sviluppo del turismo in Italia».
1.3.2. – Prima di passare in rassegna le doglianze relative all’art. 25, comma 2, la parte resistente sviluppa una serie di considerazioni in ordine alla «natura strategica della scelta del Governo di introdurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia».
Il ritorno al nucleare – spiega la difesa dello Stato – è volto a fronteggiare il cambiamento climatico e a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia e la competitività del sistema produttivo. L’energia nucleare, come attestato da iniziative assunte in ambito comunitario, costituisce l’unica fonte idonea a fornire elettricità su vasta scala consentendo, nel contempo, il rispetto delle limitazioni poste alle emissioni di gas ad effetto serra. Inoltre, la maggiore esposizione degli Stati alle instabilità ed ai rischi geopolitici dei mercati internazionali produce incognite, soprattutto sul piano della continuità delle forniture, tali da imporre il ricorso all’energia nucleare. L’utilità di tale fonte è, poi, avvertibile sul piano della competitività dei sistemi produttivi, minacciata da continui aumenti di prezzi dell’energia prodotta da fonti convenzionali. Si è, dunque, in presenza di profili problematici «che travalicano in modo consistente i meri interessi territoriali e locali».
Sul piano strettamente giuridico – prosegue l’Avvocatura dello Stato – «le assolute peculiarità e le potenzialità tipiche dell’energia nucleare, tutte espressive di interessi unitari e infrazionabili», chiamano in causa attribuzioni esclusive dello Stato, che assumono sicura prevalenza rispetto alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (è citata la sentenza n. 88 del 2009):
– assumono rilevanza le implicazioni connesse con la produzione dell’energia nucleare in termini di «ordine pubblico e di sicurezza», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. (è citata la sentenza n. 18 del 2009);
– le disposizioni dirette a presidiare la c.d. «sicurezza nucleare» appaiono ascrivibili alla materia «sicurezza dello Stato» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera d), Cost.;
– la matrice sovranazionale di molte delle prescrizioni implementate nell’ordinamento italiano giustifica l’attivazione della competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.;
– l’impatto ecologico dello sfruttamento del nucleare sollecita l’intervento del legislatore statale nella materia della «tutela dell’ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
D’altro canto – insiste la parte resistente – l’incidenza degli interessi nazionali e internazionali in gioco, le correlate esigenze di celerità nell’attuazione delle scelte strategiche legate al nucleare, le peculiarità di questa fonte energetica, impongono di considerare sotto luce diversa i princìpi inerenti all’applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost., nonché lo stesso potere sostitutivo (sono richiamate le sentenze n. 249 del 2009; n. 383 e n. 62 del 2005; n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
1.3.3. – Ciò premesso, la difesa dello Stato reputa comunque, inammissibili, «per difetto di interesse della ricorrente», le doglianze prospettate avverso i princìpi e criteri direttivi della delega legislativa anzitutto «in quanto non immediatamente lesivi di alcuna prerogativa regionale». Le previsioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere f), g) e h), non sono, infatti, tali da precludere alcuna delle possibili opzioni quanto alle forme di coinvolgimento delle Regioni.
Quanto, in particolare, alla impugnazione della citata lettera f), la ricorrente avrebbe prospettato in modo perplesso le questioni sottoposte al vaglio di questa Corte.
Altrettanto inammissibile sarebbe la questione avente per oggetto l’art. 25, comma 2, lettera a), giacché, in difetto di attuazione della delega, «non è possibile determinare se ed in che modo la Regione verrebbe coinvolta in tale attività».
La stessa questione sarebbe, comunque, destituita di fondamento in quanto nella giurisprudenza costituzionale non si rinvengono pronunce che impongano di acquisire l’intesa con la singola Regione interessata, piuttosto che con la Conferenza unificata, in relazione alla determinazione delle aree di interesse strategico nazionale. Invero, nella sentenza n. 249 del 2009 si sottolinea trattarsi di impianti di preminente interesse nazionale, tali da comportare un accentramento della funzione amministrativa in vista del conseguimento di obiettivi strategici unitari.
2. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 5 ottobre (iscritto al r.r. n. 70 del 2009), la Regione Umbria ha promosso, in riferimento agli artt. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, comma primo, e 120 Cost. nonché al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a), f), e g), 26, comma 1, e 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009.
2.1. – Oltre alle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) e g), dapprima riportate, viene, innanzitutto, in rilievo la previsione di cui all’art. 26, comma 1, della legge in parola, a mente del quale «con delibera del CIPE, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Commissioni parlamentari competenti, sono definite le tipologie degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale». È, inoltre, previsto che la Conferenza unificata si esprima «entro sessanta giorni dalla richiesta, trascorsi i quali il parere si intende acquisito».
Oggetto di doglianza è, poi, il comma 27 dell’art. 27, il quale stabilisce l’applicazione delle «disposizioni di cui all’art. 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33», agli «impianti di produzione di energia elettrica alimentati con carbon fossile di nuova generazione, se allocati in impianti industriali dismessi, nonché agli impianti di produzione di energia elettrica a carbon fossile, qualora sia stato richiesto un aumento della capacità produttiva».
2.2. – Quanto alla disposizione di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), la ricorrente sostiene trattarsi di previsione incostituzionale nella parte in cui non pone il principio secondo il quale la localizzazione dell’impianto richiede, altresì, l’intesa della Regione nel cui ambito esso deve essere realizzato.
Per la difesa regionale il coinvolgimento della Conferenza non può essere ritenuto equivalente o sostitutivo di quello della Regione interessata: invero, la necessità del consenso di questa in relazione alla localizzazione di grandi opere, la cui realizzazione imprima al territorio una caratterizzazione tanto forte da incidere sulla sua complessiva destinazione e su tutti gli interessi che in esso insistono, è implicita nel sistema di applicazione del principio di sussidiarietà sin dalla sentenza n. 303 del 2003.
Questo principio – prosegue la ricorrente – è stato ribadito proprio in relazione alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica» dalla sentenza n. 6 del 2004: deve trattarsi di una intesa forte, «nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento».
La successiva sentenza n. 62 del 2005, relativa allo stoccaggio dei rifiuti nucleari, ribadisce che, quando gli interventi necessari realizzati dallo Stato in vista di interessi unitari di tutela ambientale «concernono l’uso del territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio, da un lato, con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali, dall’altro lato con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi». Nella stessa pronuncia, tuttavia, questa Corte ha precisato che allorché, «una volta individuato il sito, si debba provvedere alla sua “validazione”, alla specifica localizzazione e alla realizzazione dell’impianto, l’interesse territoriale da prendere in considerazione e a cui deve essere offerta, sul piano costituzionale, adeguata tutela, è quello della Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata», e che «non basterebbe più, a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza unificata, il cui intervento non può sostituire quello, costituzionalmente necessario, della singola Regione interessata».
Ancora, il principio della necessaria intesa con la Regione interessata viene ulteriormente evocato con la sentenza n. 383 del 2005, in relazione alla individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici, ove pure si afferma la necessità «che anche tale individuazione sia effettuata d’intesa con le Regioni e le Province autonome interessate».
Ad avviso della ricorrente, la denunciata illegittimità non viene meno per il fatto che la successiva lettera h) dello stesso art. 25, comma 2, prevede che «l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241». A parte la genericità dell’espressione «amministrazioni interessate», e pur dando per scontato che tra esse vadano incluse le Regioni, l’istituto dell’intesa implica uno specifico rapporto bilaterale tra lo Stato e la Regione interessata, costituito da una altrettanto specifica trattativa tra due parti, ed assistito da un dovere particolare di attenzione e di reciproca collaborazione. Per la difesa regionale, questo rapporto speciale non può essere diluito e confuso in una generica partecipazione al procedimento quale «amministrazione interessata», rivelandosi così insufficiente il principio espresso dalla richiamata lettera h).
Del resto – insiste la ricorrente – la rimarcata specificità sarebbe dimostrata, all’interno della stessa legge qui in esame, dal nuovo testo dell’art. 1-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, introdotto ora dall’art. 27, comma 24, della legge n. 99 del 2009.
Il comma 4-bis, nel suo testo originario, fu dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 383 del 2005. Sicché, il nuovo testo dispone che «in caso di mancata definizione dell’intesa con la Regione o le Regioni interessate per il rilascio dell’autorizzazione, entro i novanta giorni successivi al termine di cui al comma 3, si provvede al rilascio della stessa previa intesa da concludere in un apposito comitato interistituzionale, i cui componenti sono designati, in modo da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente dai Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti e dalla Regione o dalle Regioni interessate. Ove non si pervenga ancora alla definizione dell’intesa, entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al primo periodo, si provvede all’autorizzazione con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del Presidente della Regione o delle Regioni interessate, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti». Si evince che è la stessa legge statale, in esecuzione della statuizione resa da questa Corte, ad indicare la via idonea a preservare i caratteri specifici dell’intesa e la sua peculiare rilevanza anche laddove alla Regione interessata non possa spettare la parola definitiva.
2.3. – Per quanto attiene all’impugnato art. 25, comma 2, lettera a), la ricorrente non contesta la necessità che i siti delle centrali nucleari siano soggetti a speciali forme di vigilanza e protezione. Essa, invece, lamenta il mancato coinvolgimento sia nella esatta individuazione dell’area da qualificare come «di interesse strategico nazionale», sia nella stessa individuazione delle forme di vigilanza e protezione.
Il diretto coinvolgimento della Regione appare ascrivibile alla circostanza che la qualifica in questione conferisce ad aree non necessariamente coincidenti con quella della centrale nucleare strettamente intesa «uno status territoriale speciale, comportante uno specifico regime dell’attività urbanistica ed edilizia, intrecciandosi così con la materia del governo del territorio e con tutti gli interessi inerenti a tale vastissima materia».
D’altronde, la qualificazione di aree come di interesse strategico nazionale ha nella legislazione un precedente specifico nell’art. 2, comma 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, e modificato dall’art. 2-bis della legge 30 dicembre 2008, n. 210 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale), secondo il quale «i siti, le aree, le sedi degli uffici e gli impianti comunque connessi all’attività di gestione dei rifiuti costituiscono aree di interesse strategico nazionale, per le quali il Sottosegretario di Stato provvede ad individuare le occorrenti misure, anche di carattere straordinario, di salvaguardia e di tutela per assicurare l’assoluta protezione e l’efficace gestione».
Dal quadro normativo così delineato si evincerebbe – a detta della difesa regionale – il «vincolo costituzionale nella stessa legge di delega che all’individuazione dell’area e delle relative misure di protezione debba procedersi d’intesa con la Regione o le Regioni direttamente interessate».
Quanto all’art. 25, comma 2, lettera f), la ricorrente lamenta che tale disposizione consentirebbe l’esercizio del potere sostitutivo nei confronti della Regione, ed aggiunge che «la norma non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni né nelle intese né nell’esercizio del potere sostitutivo».
2.4. – La previsione, di cui all’art. 26, comma 1, del potere del CIPE di deliberare «le tipologie degli impianti di produzione elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale», è, secondo la ricorrente, destinata ad incidere sui livelli di sicurezza e sull’impatto complessivo sul territorio e su tutti gli interessi che su di esso insistono, in larghissima misura affidati alla competenza regionale.
Trattandosi di una competenza normativa di rango secondario e versandosi in una materia – la «produzione dell’energia» – di competenza concorrente, alla luce dell’art. 117, sesto comma, Cost., detta previsione dovrebbe rivelarsi illegittima.
Ove, nondimeno, si acceda al modello della «chiamata in sussidiarietà», comunque risulterebbero pur sempre costituzionalmente indefettibili i più volte ribaditi correttivi in termini di partecipazione delle Regioni attraverso le necessarie intese: l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni o unificata in quanto il CIPE definisca «in astratto» le tipologie ammissibili su tutto il territorio nazionale; l’intesa con la singola Regione interessata, in quanto il CIPE deliberi la tipologia di un singolo determinato impianto, da collocare in una Regione determinata.
2.5. – Il denunciato comma 27 dell’art. 27 prevede l’applicazione, «agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati con carbon fossile di nuova generazione, se allocati in impianti industriali dismessi, nonché agli impianti di produzione di energia elettrica a carbon fossile, qualora sia stato richiesto un aumento della capacità produttiva», dell’art. 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33.
Dal canto suo, il richiamato art. 5-bis, rubricato «Riconversione di impianti di produzione di energia elettrica», dispone: «per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». Esso prevede, altresì, che tale disposizione «si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Secondo la ricorrente, il risultato della nuova disposizione, comprensiva della parte che essa «riprende» dalla precedente, è che alle centrali a carbon fossile non vi sarebbero più limiti di localizzazione: né per quelli di «nuova generazione» (se allocati in impianti industriali dismessi), né per quelli esistenti (anche di vecchia generazione), per i quali sia stato richiesto un aumento di potenza, alla sola condizione dell’abbattimento delle emissioni del 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti. Sicché lo sganciamento della localizzazione o dell’espansione di impianti in ogni modo altamente inquinanti, come le centrali a carbone, da ogni vincolo di localizzazione violerebbe la potestà legislativa regionale nelle materie del «governo del territorio» e della «tutela della salute», oltre che quella in materia di produzione dell’energia.
La denunciata disposizione non detterebbe alcun principio fondamentale, trattandosi al contrario di una norma derogatoria al normale assetto dei principi di governo del territorio e di tutela della salute, come si evince dalla sua stessa formulazione.
La compromissione delle potestà legislativa ed amministrativa regionale nelle indicate materie – insiste la difesa regionale – sarebbe ancora più grave ove la disposizione impugnata dovesse intendersi nel senso che la Regione, in sede di rilascio dell’intesa prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, non possa far valere, a giustificazione del proprio diniego, ragioni attinenti «alla tutela di un corretto assetto territoriale, a protezione degli interessi ad una ordinata convivenza delle persone in un ambiente salubre e preservato». In tal modo, la prevista intesa, pur formalmente richiesta, finirebbe per perdere oggetto e consistenza, dal momento che attraverso di essa la Regione non potrebbe far valere gli interessi che è chiamata dalla Costituzione a tutelare. Invero, questa Corte, nel sindacare la costituzionalità del succitato art. 1, comma 2, ha ritenuto la predetta intesa come una intesa in senso “forte” (sentenza n. 6 del 2004).
2.6. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.6.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
2.6.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) e g), della legge n. 99 del 2009, la difesa erariale sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
2.6.3. – A detta della difesa dello Stato, la questione vertente sull’art. 26, comma 1, sarebbe, innanzitutto, inammissibile in quanto formulata in modo ipotetico, con riferimento cioè a due possibili opzioni interpretative tra loro incompatibili.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata dal momento che, una volta riconosciuta la natura amministrativa (e non normativa) della delibera CIPE, il parere della Conferenza unificata – anziché l’intesa – si giustifica proprio in relazione alla dimensione unitaria e infrazionabile dei prevalenti interessi incisi da siffatti interventi.
2.6.4. – Per la difesa dello Stato, sarebbe inammissibile la questione di costituzionalità promossa nei confronti dell’art. 27, comma 27, della legge in oggetto, in quanto formulata in modo ipotetico in ordine alla asserita preclusione per la Regione di addurre, quale motivazione del proprio diniego, ragioni attinenti alla tutela del corretto assetto territoriale.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata, essendo la disposizione de qua espressione della potestà esclusiva del legislatore statale in materia di «tutela dell’ambiente», a fronte di esigenze di carattere unitario.
3. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 5 ottobre (iscritto al r.r. n. 71 del 2009), la Regione Liguria ha promosso, in riferimento agli artt. 117, commi secondo, terzo e quarto, e 118, comma primo, Cost. e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a) e g), e 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009.
3.1. – Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 25, comma 2, lettere a) e g), la difesa regionale svolge argomentazioni coincidenti con quelle prospettate nel ricorso presentato dalla Regione Umbria (v. supra, par. 2.2 e 2.3).
3.2. – Quanto alla doglianza relativa all’art. 27, comma 27, richiamate le medesime ragioni addotte nel ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.5), la difesa della ricorrente sottolinea come la Regione Liguria sia intervenuta con la legge regionale 29 maggio 2007, n. 22 (Norme in materia di energia). Questa legge prevede, tra l’altro, la competenza della Regione a stabilire criteri per la localizzazione degli impianti (art. 2), stabilisce il sistema della programmazione e pianificazione regionale in materia di energia (art. 3), prevedendo la stipulazione di accordi con i gestori degli impianti di produzione di energia elettrica per finalità di raggiungimento di livelli minimi di efficienza energetica (art. 6).
Nella stessa Regione – prosegue la difesa regionale – è vigente il Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR), approvato con delibera del Consiglio regionale 2 dicembre 2003, n. 43 (Piano Energetico Ambientale della Regione Liguria), e aggiornato nel 2009. A sua volta il Piano di risanamento della qualità dell’aria, redatto sulla base di standard sanitari statali, è stato approvato con delibera del Consiglio regionale 21 febbraio 2006, n. 4 (Piano regionale di risanamento e tutela della qualità dell’aria e per la riduzione dei gas serra).
Con questi piani la Regione Liguria ha, tra l’altro, individuato le aree ove non possono trovare collocazione impianti di produzione dell’energia elettrica. In particolare, il Piano Aria individua le aree urbane con fonti miste ove, in caso di superamento del limite di accettabilità della qualità dell’aria, non possono essere ubicati nuovi impianti.
3.3. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.3.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
3.3.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), e g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
3.3.3. – Per la difesa dello Stato, sarebbe inammissibile la questione di costituzionalità promossa nei confronti dell’art. 27, comma 27, della legge in oggetto, alla luce delle stesse argomentazioni sviluppate nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.4.).
4. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2009 e depositato il successivo 5 ottobre (iscritto al r.r. n. 72 del 2009), la Regione Puglia ha promosso, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 Cost., e al principio di leale collaborazione questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009.
4.1. – La ricorrente si duole della violazione degli artt. 117, 118 e 120 Cost., «in ordine ai poteri concorrenti delle Regioni in materia di ambiente e governo del territorio nonché al rispetto del principio di leale collaborazione e di sussidiarietà». L’impugnata disposizione consentirebbe al Governo «di poter procedere alla costruzione e all’esercizio degli impianti previa sola intesa con la Conferenza unificata, a cui partecipano bensì le Regioni e gli enti locali ma con un parere non vincolante. Per la localizzazione degli impianti, poi, è escluso ogni tipo di coinvolgimento della Regione, la cui competenza rimarrebbe esclusivamente in capo al Governo».
A suffragio di tale doglianza, la ricorrente sostiene che, nelle materie di competenza concorrente, le Regioni «non possono essere esautorate dalla correlata funzione amministrativa».
La consacrazione, nel testo costituzionale, del principio di sussidiarietà e, poi, l’adozione del codice dell’ambiente con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dovrebbero consentire alle Regioni «di esercitare le proprie funzioni normative ed amministrative non già solo in ragione della massima vicinitas tra bene protetto e livello territoriale ma in vista del perseguimento del maggiore grado di protezione della salute e quindi dell’ambiente e del territorio».
Dal canto suo, il principio di leale collaborazione impone che l’individuazione del livello di governo presso il quale allocare la funzione decisoria, sia normativa che amministrativa, non possa essere in alcun modo disancorata dall’esistenza di competenze necessariamente intersecate, tali da esigere assetti procedimentali volti a favorire il raggiungimento di intese (sono richiamate, al riguardo, le sentenze n. 284 del 2004 e n. 308 del 2003).
Al contrario, l’impugnata disposizione non sembra «tenere nel dovuto conto il ruolo delle Regioni, limitandosi a prevedere da parte di queste la possibilità di espressione di un semplice parere in sede di Conferenza unificata e non una precisa intesa con la Regione interessata per la “costruzione” e “l’esercizio” di impianti per la produzione di energia nucleare». Sicché, «l’eventuale parere contrario delle Regioni ad accogliere un impianto per la produzione di energia nucleare si appaleserebbe come un semplice parere non vincolante». Al contrario, il rispetto delle competenze definite dal nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione, dovrebbe subordinare l’autorizzazione alla realizzazione di impianti per la produzione di energia nucleare alla «intesa forte» con le Regioni interessate.
In definitiva, alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa alla delimitazione della competenza in tema di «tutela dell’ambiente» (sono citate le sentenze n. 248 del 2009 e n. 407 del 2002), per la ricorrente l’impugnata disposizione lederebbe il ruolo della Regione e le competenze in materia di tutela del territorio, dell’ambiente e dell’autonomia degli enti locali nelle parte in cui: a) disciplina la costruzione di impianti per la produzione di energia nucleare, senza prevedere una intesa specifica e vincolante fra lo Stato e la Regione interessata ma semplicemente un parere in sede di Conferenza unificata sulla base di un’autorizzazione unica rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con quelli dell’ambiente e delle infrastrutture; b) non prevede alcuna partecipazione delle Regioni in ordine alla localizzazione di detti impianti.
4.2. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.2.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
4.2.2. – Quanto alla impugnazione della disposizione di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
5. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 6 ottobre (iscritto al r.r. n. 73 del 2009), la Regione Basilicata ha promosso, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, commi 1 e 2, lettera g), e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
5.1. – Secondo la ricorrente, il denunciato art. 25, comma 1, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
Ai sensi della contestata previsione, «il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle norme in tema di valutazione di impatto ambientale e di pubblicità delle relative procedure, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo recanti la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate. I decreti sono adottati, secondo le modalità e i principi direttivi di cui all’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonché nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al comma 2 del presente articolo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e successivamente delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario».
La scelta dei siti in cui allocare impianti di produzione di energia e combustibile nucleare e di deposito dei materiali e rifiuti radioattivi costituisce un’attività complessa, dovendosi considerare le qualità fisiche e geologiche del territorio e i vincoli normativi esistenti in punto di tutela idrogeologica, sui beni di interesse pubblico e sulle aree naturali protette. Ebbene, per la difesa regionale, «tale composita attività non può prescindere da una metodologia partecipativa utile a mettere in grado le Regioni di rappresentare le specificità, anche sociali, del proprio territorio».
Al contrario, la disposizione oggetto di censura non contempla alcuna forma di reale coinvolgimento delle Regioni sulla localizzazione degli impianti.
La materia interessata dalla disposizione de qua è quella, concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Il dettato costituzionale rispecchia la consapevolezza che gli interessi pubblici delle comunità locali si appalesano «meglio tutelati, anche a livello nazionale, da norme di emanazione regionale in un campo, quello energetico, la cui disciplina investe trasversalmente anche altri settori (governo del territorio, urbanistica, tutela della salute, ambiente) rimessi alla competenza regionale» (sentenza n. 383 del 2005).
Nelle materie di legislazione concorrente, l’adìta Corte ha da tempo auspicato che la disciplina statale, perché non incida significativamente sull’ambito dei poteri regionali, deve risultare limitata a quanto strettamente indispensabile e deve essere adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o deve comunque prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate agli organi centrali. Il parere previsto dall’impugnata norma non parrebbe, a detta della ricorrente, soddisfare tale condizione, «trattandosi di un’espressione consultiva, oltretutto non vincolante, insufficiente a mettere al riparo da lesioni alle prerogative dell’ente territoriale».
5.2. – Anche il contestato art. 25, comma 2, lettera g), violerebbe, secondo la Regione Basilicata, gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
A detta della difesa regionale, il legislatore statale parrebbe essersi preoccupato di innalzare – dopo aver ritenuto sufficiente un parere della Conferenza unificata nell’ambito del procedimento di adozione dei decreti delegati – il livello di partecipazione della Regione attraverso la previsione di un’intesa con la Conferenza unificata.
Come statuito da questa Corte nella sentenza n. 62 del 2005, non basterebbe più, a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza unificata, il cui intervento non può sostituire quello, costituzionalmente rilevante, della singola Regione interessata (v. sentenze n. 6 del 2004, n. 303 del 2003, n. 242 del 1997 e n. 338 del 1994).
Appare, dunque, costituzionalmente necessario che siano previste forme di partecipazione al procedimento della Regione interessata, fermo restando che, in caso di dissenso irrimediabile possono essere previsti meccanismi di deliberazione definitiva da parte di organi statali, con adeguate garanzie procedimentali.
5.3. – Gli stessi profili di incostituzionalità sono prospettati, nel ricorso, avverso l’art. 26, comma 1, della legge in oggetto.
La legittima pretesa della Regione a «codecidere» le scelte in ordine ad impianti, che hanno notoriamente un pesante impatto sull’ambiente, sul paesaggio, sulla salute dei cittadini, sul governo del territorio, si rivelerebbe ulteriormente mortificata dalla norma, che si limita a prevedere la «espressione di un parere da parte di un organismo che, nell’esprimersi può non dare voce agli interessi di singole Regioni, ognuna portatrice di proprie specificità».
Inoltre – conclude la difesa regionale – la marginalità del coinvolgimento emerge dalla previsione secondo cui, qualora il parere non venga dato nei termini fissati, esso s’intende acquisito positivamente.
5.4. – Con atto depositato il 9 novembre 2009, si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
5.4.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
5.4.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, commi 1 e 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
5.4.3. – In ordine alla doglianza relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.3).
6. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 75 del 2009), la Regione Piemonte ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 117, 118 e 120 Cost., e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettera g), 26, comma 1, e 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009.
6.1. – Il denunciato art. 25, comma 2, lettera g), violerebbe, innanzitutto, gli artt. 117, 118 e 120 Cost.
Sottolinea la ricorrente che la legge in parola definisce «attività di preminente interesse statale» la costruzione e l’esercizio degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare, per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita ed opere connesse. Essa assoggetta tali attività ad autorizzazione unica, su istanza del soggetto richiedente, previa intesa con la Conferenza unificata. Risulta, dunque, accentrata al procedimento di «autorizzazione unica» ogni decisione sulla localizzazione e realizzazione di tali impianti ed opere.
L’autorizzazione è unica – prosegue la difesa regionale – giacché è rilasciata anzitutto a seguito di un «unico procedimento» e si prevede sostituisca «ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati, ad eccezione delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione ambientale strategica (VAS) cui si deve obbligatoriamente ottemperare, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire ed esercire le infrastrutture in conformità del progetto approvato». Sicché, l’«autorizzazione unica» vale atto di localizzazione, realizzazione ed esercizio degli impianti di produzione di energia nucleare e di messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi con opere connesse.
Ebbene, trattandosi di previsioni «molto specifiche e puntuali», per la ricorrente il Governo delegato non potrà che riprodurle nel decreto legislativo.
Ove si riconduca la normativa in oggetto ad ambiti materiali di natura concorrente, quali la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» o il «governo del territorio», si potrebbe persino pervenire a negare una competenza esclusiva amministrativa statale al rilascio dell’autorizzazione per gli impianti di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, «poiché nella disciplina oggetto d’impugnazione manca la previsione di una competenza della Regione interessata dalla localizzazione, anche nella forma più attenuata di un’intesa dello Stato con quest’ultima».
Ove, invece, si ascriva la disciplina in parola alla materia, di competenza esclusiva dello Stato, della «tutela dell’ambiente», la Regione Piemonte ricorda che «quando gli interventi individuati come necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l’uso del territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio da un lato con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali, dall’altro lato con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi», fermo restando che «il livello e gli strumenti di tale collaborazione possono naturalmente essere diversi in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte» (sentenza n. 62 del 2005).
Per la difesa della ricorrente, dunque, la specifica localizzazione dell’impianto e la sua realizzazione concorrono ad individuare necessariamente l’interesse territoriale da prendere in considerazione di cui deve essere offerta un’adeguata tutela costituzionale: trattasi dell’interesse della Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata. Al riguardo, questa Corte ha reputato insufficiente il «coinvolgimento della Conferenza unificata» in quanto inidoneo a surrogare «quello, costituzionalmente necessario, della singola Regione interessata» (sentenza n. 62 del 2005; si vedano anche le sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
La previa intesa con la Conferenza unificata non sarebbe, perciò, una adeguata forma di coinvolgimento della Regione destinataria dell’insediamento degli impianti ed opere d’interesse nazionale e delle Regioni ad essa limitrofe, dovendosi invece prevedere la forma costituzionalmente necessaria dell’intesa forte tra lo Stato e tutte le Regioni interessate (sentenza n. 383 del 2005).
Per la ricorrente, la violazione degli evocati parametri costituzionali parrebbe confermata dalla disciplina generale sul funzionamento della Conferenza unificata, ove il dissenso della singola Regione può essere successivamente superato dall’assenso di tutti i membri ivi compreso il Presidente della Regione dissenziente, oppure con deliberazione unilaterale e definitiva del Consiglio dei ministri.
Lo stesso art. 25, comma 2, lettera g), sarebbe incostituzionale, a detta della ricorrente, anche per violazione dell’art. 3 Cost., trattandosi di previsione asseritamente irragionevole. Invero, l’intervento unilaterale del Governo è destinato a realizzarsi non solo in caso di paralisi procedimentale della Conferenza unificata imputabile ad inerzia della Regione interessata, ma anche in presenza di qualsiasi dissenso, anche pienamente motivato, di quest’ultima che impedisce il raggiungimento dell’intesa in Conferenza unificata.
6.2. – Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 26, comma 1, per la ricorrente esso violerebbe gli artt. 3, 117, 118 e 120 Cost., con particolare riferimento al principio di leale collaborazione, in quanto consente allo Stato di affermare senz’altro la propria volontà anche provocando la paralisi procedimentale della Conferenza unificata per inerzia o per dissenso – neppure motivato – del Governo stesso, che in tal modo potrebbe impedire alla Conferenza unificata d’esprimere il parere «entro sessanta giorni». Come si evincerebbe dall’art. 9, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione e ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato – città ed autonomie locali), si rivela necessario «l’assenso del Governo per l’adozione delle deliberazioni di competenza della Conferenza unificata». Al contrario, «l’assenso delle Regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane è assunto con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono, rispettivamente, la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato – città ed autonomie locali», con «assenso» che «è espresso di regola all’unanimità dei membri dei due predetti gruppi» e, «ove questa non sia raggiunta», «è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi».
Orbene, ad avviso della Regione Piemonte, per le decisioni in ordine ad una questione determinante come la definizione delle tipologie d’impianti per la produzione di energia elettrica nucleare sull’intero territorio nazionale, il rinvio operato dalla disciplina speciale qui impugnata alle indicate norme sulla Conferenza unificata ha avuto luogo «in definitiva in spregio della stessa dignità istituzionale delle Regioni a differenza di quanto risulta previsto per l’intesa in Conferenza unificata ove il mancato raggiungimento della stessa può essere superato dallo Stato soltanto con una motivata deliberazione del Consiglio dei ministri».
La denunciata disposizione sarebbe, inoltre, incostituzionale, per violazione dei suddetti parametri, anche in combinato disposto con l’art. 25, comma 2, lettera g), relativo alla localizzazione, nella parte in cui non si prevede che l’intesa deve già contenere l’individuazione del tipo d’impianto da localizzare in quel territorio, scelto tra quelli indicati dalla deliberazione del CIPE.
6.3. – L’art. 27, comma 27, sarebbe per la ricorrente in contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 Cost., in quanto lesivo delle competenze legislative regionali. Esso, infatti, parrebbe disciplinare, con una norma di dettaglio, materie di competenza concorrente, in particolare la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nonché il «governo del territorio».
La stessa genericità di formulazione e vastità d’applicazione (tutti i «limiti di localizzazione territoriale» previsti a qualsiasi fine nelle legislazioni regionali) non solo vanificherebbe ogni vigente previsione di legge regionale, ma verrebbe a costituire un vincolo puntuale che va ben oltre la fissazione di «principi fondamentali», superando d’un tratto ed impedendo perciò qualsiasi disciplina di dettaglio del legislatore regionale cui è precluso ogni spazio di normazione sulla localizzazione degli impianti indicati.
6.4. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
6.4.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
6.4.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
Il resistente ritiene, inoltre, solo genericamente motivata la questione di costituzionalità promossa avverso l’intero testo dell’art. 25.
6.4.3. – In ordine alla doglianza relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.3.).
6.4.4. – Per la difesa dello Stato, sarebbe inammissibile la questione di costituzionalità promossa avverso l’art. 27, comma 27, della legge in oggetto, alla luce di argomentazioni non dissimili da quella sviluppate nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.4.).
7. – Con ricorso notificato il 30 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 76 del 2009), la Regione Lazio ha promosso, in riferimento agli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 9, 25, commi 1 e 2, lettere f), g), l) e q), 26, comma 1, nonché 27, commi 14, 24, lettere c) e d), 28, 31 e 34, della legge n. 99 del 2009.
7.1. – Secondo la ricorrente, la previsione di cui al denunciato art. 3, comma 9, ove ascrivibile alla materia concorrente del «governo del territorio», si rivelerebbe illegittima, trattandosi di disciplina puntuale ed analitica, così precludendo al legislatore regionale la possibilità di assumere qualunque determinazione al riguardo.
Ove, invece, ricondotta alla materia del «turismo» (v. sentenza n. 94 del 2008), alla difesa regionale «appare evidente l’invasione da parte del legislatore statale della competenza regionale residuale» in tale materia.
7.2. – Quanto all’art. 25, comma 1, oggetto di impugnazione, la Regione Lazio contesta, in via preliminare, il ricorso alla delega legislativa, la quale, trattandosi di una materia concorrente, si rivelerebbe «costituzionalmente insostenibile»: invero, «se la legge di delega contiene i principi della futura disciplina, la formazione integrativa è affidata al decreto legislativo, cioè ad un atto del Governo e non già della Regione».
Né varrebbe a «mitigare lo strappo all’art. 117 Cost.» la previsione di una intesa con le Regioni sul decreto legislativo delegato. L’intesa presuppone una piena compartecipazione decisionale da parte dello Stato, anche sulla normazione di dettaglio, quale è quella che costituisce il contenuto tipico dei decreti legislativi. Inoltre, il modulo della delega legislativa non è utilizzabile nell’ambito di competenze legislative concorrenti dal momento che il decreto delegato ha un ambito di efficacia nazionale in relazione al quale anche la eventuale compartecipazione di tutte le Regioni o di organi collegiali che possono ritenersi rappresentativi degli interessi di queste ultime, non riuscirebbe mai a rispettare la competenza legislativa che la Costituzione riconosce a ciascuna singola Regione. In tale prospettiva, la previsione, oltretutto, di un mero «parere» della Conferenza unificata, all’atto dell’adozione dei decreti delegati, appare per la ricorrente del tutto inadeguata.
Sempre in termini generali, a detta della difesa regionale, pur procedendo ad una scomposizione dell’oggetto della delega in più ambiti materiali – in relazione ai quali sussistono diversi titoli di legittimazione (tutela dell’ambiente, governo del territorio) – nondimeno si imporrebbero forme di necessaria collaborazione paritaria con le Regioni (è richiamata la sentenza n. 62 del 2005).
Inoltre, se in presenza di una disciplina di carattere generale la compartecipazione regionale può ritenersi adeguatamente realizzata attraverso l’intesa con la Conferenza unificata, in presenza di una specifica localizzazione dell’impianto, l’unica partecipazione ammissibile è quella della Regione sul cui territorio è previsto l’insediamento dell’opera. In entrambi i casi, pertanto, il coinvolgimento regionale non potrebbe essere limitato al «parere», dovendosi invece esprimere attraverso una compartecipazione paritaria e, quindi, attraverso un’intesa.
7.3. – Per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 25, comma 2, lettera f), per la Regione Lazio la previsione di un ricorso «automatico» al potere sostitutivo da parte del Governo, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa, svilirebbe il ricorso allo strumento consensuale, in materie a carattere concorrente (tutela della salute; protezione civile; governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia): se da un lato si riconosce la necessità delle intese, dall’altro si priva tale riconoscimento di qualsiasi significato sostanziale, nel momento in cui si consente al Governo di superare qualunque manifestazione di dissenso regionale, per quanto obiettivamente giustificata, motivata e ragionevole possa essere.
Mentre apparirebbe legittima la previsione di meccanismi procedimentali volti a superare la situazione di mancato conseguimento dell’intesa, tanto non può dirsi a proposito dell’introduzione, generalizzata ed indifferenziata, del ricorso all’esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato, per di più in evidente assenza delle ipotesi legittimanti di cui all’art. 120 Cost.: ciò equivarrebbe, infatti, a negare quella parità di posizione tra livello statale e regionale, che invece deve costituire il criterio di riferimento nei casi di «chiamata in sussidiarietà» (v. sentenza n. 383 del 2005).
7.4. – Anche la previsione di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), appare alla ricorrente illegittima, dal momento che non prevede una intesa con la singola Regione interessata dall’insediamento degli impianti in questione.
7.5. – Per la difesa regionale, sarebbero «del tutto estromesse le Regioni nella definizione dei controlli di sicurezza e di radioprotezione», di cui al denunciato art. 25, comma 2, lettera l), così come una analoga estromissione riguarderebbe la campagna d’informazione alla popolazione italiana sull’energia nucleare, prevista dall’impugnato art. 25, comma 2, lettera q).
7.6. – Nel ricorso si contesta, ancora, che il «parere» della Conferenza unificata sulle delibere CIPE relative alle tipologie degli impianti per la produzione dell’energia elettrica nucleare che possono essere realizzati sul territorio nazionale, previsto dal censurato art. 26, comma 1, sarebbe del tutto inadeguato a soddisfare l’esigenza compartecipativa delle Regioni a garanzia della competenza delle medesime in materia di governo del territorio e tutela della salute.
7.7. – L’impugnato art. 27 della legge in oggetto reca una serie di misure per la sicurezza e il potenziamento del settore energetico. Secondo la ricorrente, detta disciplina risulta riconducibile alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Anche ad ammettere la «chiamata in sussidiarietà», per la difesa regionale il «contrappeso costituzionale è dato dall’obbligo di prevedere un’intesa in senso forte fra gli organi statali e il sistema delle autonomie territoriali rappresentato dalla Conferenza unificata […], o con le singole Regioni qualora direttamente interessate dal provvedimento».
7.7.1. – Nello specifico, la previsione di cui al comma 14 dell’art. 27 – sostitutiva dell’art. 2, comma 41, ultimo periodo, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008) – sarebbe illegittima in quanto contempla soltanto il parere della Conferenza unificata sui criteri per l’erogazione del Fondo di sviluppo delle isole minori. La disposizione immediatamente successiva, secondo cui gli interventi ammessi al relativo finanziamento vengono adottati previa intesa con gli enti locali interessati, risulterebbe invece viziata in quanto estrometterebbe del tutto la Regione.
7.7.2. – Il denunciato comma 24, lettera c), dello stesso art. 27, sostituisce il comma 4-bis del decreto-legge n. 239 del 2003, e disciplina il procedimento da seguire in caso di mancata definizione dell’intesa con la Regione.
Per la ricorrente, la previsione di un Comitato interistituzionale in composizione paritaria risponde al paradigma dell’intesa, mentre se ne discosta la soluzione adottata in caso di fallimento nel raggiungimento dell’intesa medesima. Tale soluzione è rappresentata da un decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del Presidente della Regione. La partecipazione regionale risulterebbe, così, meramente simbolica, con conseguente assorbimento dell’intero potere decisionale nelle mani dello Stato, né varrebbe ricondurre tale procedura ad una sorta di meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 120 Cost.: tale richiamo appare improponibile in area di competenza «concorrente» (sentenza n. 383 del 2005).
7.7.3. – L’impugnato comma 24, lettera d), dell’art. 27 in questione inserisce l’art. 4-quaterdecies nel decreto-legge n. 239 del 2003, articolo con il quale si prevede che le varianti di rilievo localizzativo interessanti il tracciato degli elettrodotti vengano approvate dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministero dell’ambiente e con il consenso del Presidente delle Regioni interessate.
La compartecipazione della Regione non può ritenersi adeguatamente realizzata attraverso l’intervento del solo Presidente della Regione e, comunque, non spetta allo Stato l’identificazione dell’organo regionale cui affidare il potere decisionale.
7.7.4. – Il contestato comma 28 dell’art. 27 utilizza il meccanismo della delega legislativa per la disciplina della ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche pur prevedendo l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni in sede di adozione dei decreti legislativi delegati.
Al riguardo sono richiamate le medesime argomentazioni addotte in relazione all’art. 25 (v. supra, par. 7.2.).
7.7.5. – La previsione, di cui al censurato comma 31 dell’art. 27, del modulo della conferenza di servizi per le autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto mal si concilierebbe con il principio dell’intesa con la Regione interessata, giacché mentre nella conferenza la decisione viene adottata a maggioranza delle amministrazioni che vi partecipano, nell’intesa la partecipazione delle parti è necessariamente paritaria.
Il successivo punto 2 dello stesso comma 31 risulterebbe, invece, «incomprensibile» allorché prevede che per il rilascio dell’autorizzazione ai fini della conformità urbanistica dell’opera è fatto obbligo di richiedere il parere motivato degli enti locali, dopo aver affermato, nel periodo che precede, che l’intesa con la Regione costituisce «variazione» degli strumenti urbanistici vigenti.
Secondo la difesa regionale, la disposizione risulta contraddittoria e, quindi, inidonea a fornire all’amministrazione chiamata ad attuarla un razionale parametro di legalità, con conseguente violazione del richiamato art. 97 Cost., anche sotto il profilo del buon andamento della pubblica amministrazione.
7.7.6. – L’impugnato comma 34 dell’art. 27 dispone la sostituzione dei commi da 77 a 82 dell’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia).
La nuova disciplina del comma 78 risulterebbe illegittima giacché, quanto all’autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle opere necessarie, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all’attività di perforazione, prevede una conferenza di servizi nella quale il ruolo assegnato alla Regione è soltanto quello di parteciparvi, accanto agli enti locali.
La mera partecipazione alla conferenza non pare alla difesa regionale soddisfare l’obbligo dell’intesa nella disciplina di atti che rientrano in materie di competenza concorrente.
7.8. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
7.8.1. – In ordine alla questione di legittimità costituzionale avente per oggetto l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, il resistente espone gli stessi motivi di inammissibilità e di infondatezza già addotti nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.1.).
7.8.2. – Relativamente alle censure mosse avverso le disposizioni dettate dalla legge n. 99 del 2009 in materia di energia, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
7.8.3. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, commi 1 e 2, lettere f) e g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
7.8.4. – Per la difesa dello Stato, le questioni di costituzionalità relative all’art. 25, comma 2, lettere l) e q), sarebbero inammissibili in quanto «generiche e prive di concreto riferimento alle norme costituzionali violate».
7.8.5. – In ordine alla doglianza relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.3.).
7.8.6. – Infine, sulla impugnazione delle suindicate previsioni contenute nell’art. 27, il resistente si riserva di ulteriormente argomentare in ordine alla loro inammissibilità e non fondatezza.
8. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 77 del 2009), la Regione Calabria ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi terzo e quarto, 118 e 120 Cost., e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge n. 99 del 2009.
8.1. – L’art. 25, comma 2, lettera h), è dalla Regione Calabria impugnato nella parte in cui non prevede, nel procedimento unico ivi previsto, la necessità di una intesa «forte» con la Regione direttamente interessata, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., del principio di leale collaborazione, nonché degli artt. 3 e 97 Cost., ed in particolare del generale canone di ragionevolezza delle leggi.
L’impugnata disposizione – sostiene la difesa regionale – è destinata ad incidere su numerose materie in relazione alle quali la Regione ricorrente è titolare del potere di legislazione concorrente o residuale (governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; turismo): ne deriverebbe l’ineludibile necessità per lo Stato di raggiungere una intesa con la singola Regione direttamente interessata alla localizzazione dell’opera, nel corso del procedimento di rilascio dell’autorizzazione.
A sostegno della doglianza, la ricorrente evoca l’art. 1 del decreto-legge n. 7 del 2002, «norma dalla quale, con tutta evidenza, è stata ripresa la disposizione impugnata»: in un settore energetico sicuramente meno rischioso per la salute dei cittadini e per l’ambiente, il predetto art. 1, comma 2, prevede che l’autorizzazione unica venga rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate, e «d’intesa con la Regione interessata».
Sulla predetta previsione – ricorda la ricorrente – è intervenuta questa Corte con la sentenza n. 6 del 2004, ove si rimarca che l’intesa quivi prevista «va considerata come un’intesa “forte”».
Ancora, la difesa regionale richiama, a proposito del livello di coinvolgimento delle amministrazioni periferiche ritenuto indispensabile a livello comunitario, la Risoluzione adottata dal Comitato delle Regioni su «La sicurezza nucleare e la democrazia locale e regionale» (98/C 251/06). Detto Comitato ritiene essenziale che «la decisione relativa al sito degli impianti nucleari ed alla gestione dei rifiuti nucleari da parte dei responsabili dei depositi dovrebbe coinvolgere i cittadini del luogo e tutti gli altri interessati. Spetta all’ente locale o regionale decidere in ultima istanza se l’impianto debba o no essere accettato. Questa decisione deve basarsi sulla migliore informazione disponibile. Gli impianti di produzione di energia e di gestione dei rifiuti devono essere sottoposti a una valutazione d’impatto ambientale che, se correttamente utilizzata, offre la possibilità di informare il pubblico, far aumentare la partecipazione e considerare le alternative».
8.2. – Gli stessi parametri costituzionali sono stati evocati in relazione all’impugnazione dell’art. 25, comma 2, lettera g).
Innanzitutto, per la Regione Calabria la disposizione de qua non si limiterebbe ad enunciare princìpi fondamentali diretti ad orientare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, ma porrebbe norme di dettaglio rivolte a delineare la delega concessa al Governo ed intrinsecamente non suscettibili di essere sostituite dalle Regioni: «scelta peraltro non contemperata da una corretta applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative».
Inoltre, nella parte in cui ritiene sufficiente (ai fini del rilascio dell’autorizzazione) l’intesa con la Conferenza unificata, anziché con le Regioni interessate, l’impugnata disposizione confliggerebbe con la necessaria previsione di idonee forme di intesa e collaborazione tra il livello statale ed i livelli regionali. Come statuito da questa Corte, l’accentramento delle funzioni amministrative, ove ritenuto legittimo, deve trovare un riequilibrio nel «necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta interessate» (sentenza n. 6 del 2004).
8.3. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
8.3.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
8.3.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
A ciò il resistente aggiunge che il menzionato parere del Comitato delle Regioni «non ha alcun valore cogente, né alcuna rilevanza costituzionale nell’ordinamento nazionale».
9. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 82 del 2009), la Regione Marche ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 117, commi terzo e sesto, 118 e 120, secondo comma, Cost., e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a), f), g), h), e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
9.1. – Quanto alle denunciate disposizioni di cui all’art. 25, la difesa regionale premette che si tratta di norme ascrivibili ad ambiti di competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., quali la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» ed il «governo del territorio». Tale incidenza è – secondo la ricorrente – ancor più evidente se si considera l’ulteriore estensione degli oggetti affidati al legislatore delegato, ad opera dell’ultimo periodo del comma 1, secondo il quale «con i medesimi decreti sono altresì stabiliti le procedure autorizzative e i requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione degli impianti di cui al primo periodo».
Per la Regione Marche, la delega assume la finalità di riformare e non semplicemente di riordinare l’ordinamento esistente: ad essa, pertanto, non può che essere riconosciuta natura «innovativa». Invero, da un lato, vi è l’attribuzione esplicita al Governo del compito di procedere al «riassetto normativo», espressione pacificamente intesa, a tutti i livelli, come riferita ad interventi di «modifica sostanziale» delle discipline vigenti in un determinato settore; dall’altro lato, vi è l’indicazione, quali vincoli di contenuto imposti al legislatore delegato, di principi e criteri direttivi atti ad orientare una vera e propria opera di riforma delle normative esistenti e non una semplice loro ricognizione e semplificazione formale.
9.2. – A detta della ricorrente, l’art. 25, comma 2, lettera a), sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
Prevedendo l’attribuzione in capo ad organi dello Stato di una funzione amministrativa nella materia di potestà legislativa concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», e consistendo la suddetta funzione amministrativa nella dichiarazione dei siti quali «aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione», nella materia concorrente del «governo del territorio», la denunciata disposizione avrebbe configurato una «chiamata in sussidiarietà» senza prevedere che la suddetta funzione amministrativa sia esercitata attraverso un meccanismo di codecisione paritaria, ossia mediante l’intesa forte, con le Regioni territorialmente interessate (sono richiamate, in particolare, le sentenze n. 383 del 2005 e n. 303 del 2003).
A detta della ricorrente, l’impugnata disposizione sarebbe incostituzionale anche in relazione a quei siti che risultassero riconducibili ad altri ambiti oggettivi della delega legislativa in questione: in particolare, i «sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi», nonché i «sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi» cui fa riferimento il comma 1 dell’art. 25.
Invero – ammette la difesa regionale – in relazione a tali tipologie di siti, si potrebbe ritenere che l’ambito di potestà legislativa che fornisce il titolo di intervento al legislatore statale sia costituito dalla materia di legislazione esclusiva della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Sennonché – sostiene la ricorrente – anche in tali ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessaria la previsione di idonee forme di partecipazione al procedimento delle Regioni interessate (sentenza n. 62 del 2005).
Anche per questa parte, dunque, la norma impugnata violerebbe le attribuzioni costituzionali che gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., riconoscono alle Regioni, nonché il principio di leale collaborazione, laddove non prevede che la funzione amministrativa allocata in capo ad organi dello Stato debba essere esercitata mediante adeguate forme di partecipazione al procedimento delle autonomie regionali.
9.3. – Nel ricorso si sostiene che l’art. 25, comma 2, lettera f), della legge in oggetto, vìola gli artt. 3, 117, terzo comma, 118 e 120, secondo comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
La disposizione censurata sarebbe, cioè, incostituzionale nella parte in cui, trattandosi di «chiamata in sussidiarietà» di funzioni amministrative presso organi statali in materie di competenza legislativa concorrente, non contemplerebbe la necessaria intesa “forte” (sentenza n. 383 del 2005).
Per la difesa regionale, la contestata disposizione violerebbe anche il disposto dell’art. 120, secondo comma, Cost., dal momento che contempla una ipotesi di potere sostitutivo straordinario del Governo del tutto al di fuori dei presupposti costituzionali ivi espressamente individuati, per i quali è sempre necessario il previo verificarsi di un inadempimento dell’ente sostituito rispetto ad una attività imposta ad esso come obbligatoria; e tale non può certo ritenersi, per definizione, l’intesa che una Regione sia chiamata a raggiungere per l’esercizio di una funzione amministrativa posta in capo ad organi dello Stato.
Anche in forza di tale ultimo rilievo, sarebbe per la ricorrente manifesta l’irragionevolezza intrinseca della disposizione in questione, dal momento che il legislatore statale pretende di configurare la possibilità per il Governo di «sostituirsi» ad un atto di intesa con sé medesimo, atto che invece, per sua natura, non può che essere il frutto del libero incontro tra l’indirizzo politico statale e l’autonomia politica della Regione.
9.4. – Per la Regione Marche, l’art. 25, comma 2, lettera g), della legge indicata, nella parte in cui si limita ad imporre l’intesa con la Conferenza unificata e non, invece, l’intesa con ciascuna delle Regioni interessate, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, «dal momento che è del tutto evidente che l’autorizzazione unica attiene alla costruzione e alla messa in esercizio di singoli impianti territorialmente localizzati, così da incidere non già sugli interessi pertinenti all’intero sistema degli enti territoriali, bensì su quelli specificamente tutelati da singole Regioni».
Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, è indispensabile la previsione dell’intesa con le Regioni direttamente interessate, in posizione di codecisione paritaria, non risultando sufficiente il coinvolgimento dell’organo espressivo della posizione dell’intero sistema delle autonomie territoriali (sono citate le sentenze n. 383 e n. 62 del 2005).
9.5. – Alla stregua di argomentazioni dall’analogo tenore, è censurato, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, l’art. 25, comma 2, lettera h), nella parte in cui prevede, anziché l’intesa forte con ciascuna delle Regioni direttamente interessate, la semplice «partecipazione» della Regione al procedimento unico di rilascio dell’autorizzazione.
Gli ambiti oggettivi di riferimento della disciplina in esame – sottolinea la difesa regionale – sono sempre le materie di potestà legislativa concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e del «governo del territorio». Il riferimento ad una «mera partecipazione» non altrimenti qualificata delle amministrazioni interessate, tra le quali è senz’altro da ricomprendere anche la Regione, determinerebbe un evidente contrasto con i parametri costituzionali indicati, così come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale sulla «chiamata in sussidiarietà» di funzioni amministrative presso organi statali in materie di competenza legislativa concorrente.
9.6. – La ricorrente si duole della illegittimità dell’art. 26, comma 1, per violazione dell’art. 117, terzo e sesto comma, ovvero, in via subordinata, degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
Posto che la disposizione in oggetto appare riconducibile alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., si delineano – a detta della difesa regionale – due ipotesi alternative.
Se si ritiene, come sembrerebbe più plausibile in forza del dato testuale, che la funzione affidata al CIPE abbia natura propriamente normativa, in forza del suo carattere di regolazione generale e astratta, ne discenderebbe la violazione della regola di riparto della potestà regolamentare di cui all’art. 117, sesto comma, Cost. Né – insiste la stessa difesa – in una simile ipotesi potrebbe essere legittimamente invocabile il titolo della «chiamata in sussidiarietà» della predetta potestà. Sin dalla sentenza n. 303 del 2003, questa Corte ha radicalmente escluso che in forza dell’art. 118 Cost. possano essere consentite deroghe al riparto costituzionale del potere regolamentare: «in un riparto così rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principi di sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario». Se, dunque, alla legge statale è consentita l’organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, la legge stessa non può spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i principi che orientino l’esercizio della potestà regolamentare, circoscrivendone la discrezionalità.
Ove, al contrario, si dovesse escludere la natura normativa della funzione in questione, risulterebbe riproponibile il fenomeno della «chiamata in sussidiarietà», con la necessità, però, di prevedere un meccanismo di codecisione paritaria, nella forma dell’intesa forte con il sistema complessivo delle autonomie territoriali.
Da questo punto di vista, risulterebbe del tutto inadeguata la previsione della norma censurata che contempla lo strumento del semplice parere della Conferenza, ulteriormente indebolito dalla esplicita previsione della possibilità di prescinderne decorso l’esiguo termine di sessanta giorni dalla richiesta, e non invece una intesa forte (è ancora una volta richiamata la sentenza n. 383 del 2005).
9.7. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
9.7.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
9.7.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) g) e h), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
9.7.3. – In ordine alla doglianza relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.3.).
10. – Con ricorso notificato il 29 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 83 del 2009), la Regione Emilia-Romagna ha promosso, in riferimento agli artt. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118 e 120, comma secondo, Cost. e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a), f), g), e h), e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
10.1. – In via preliminare, la difesa regionale riconduce la disciplina in contestazione agli ambiti materiali – entrambi di natura concorrente – della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e del «governo del territorio», senza trascurare l’incidenza della stessa sul piano della «tutela della salute».
Quanto al primo ambito materiale, la Regione Emilia-Romagna ha adottato la legge 23 dicembre 2004, n. 26 (Disciplina della programmazione energetica territoriale ed altre disposizioni in materia di energia), che inquadra gli interventi di competenza della Regione e degli enti locali all’interno di una programmazione energetica territoriale, articolata nei livelli regionale, provinciale, comunale. Il primo Piano Energetico Regionale (PER) è stato approvato dal Consiglio regionale in data 14 novembre 2007. Detto Piano traccia lo scenario evolutivo del sistema energetico regionale e definisce gli obiettivi di sviluppo sostenibile a partire dalle azioni che la Regione ha sviluppato negli ultimi anni, soprattutto sul fronte della riqualificazione del sistema elettrico.
Per quanto riguarda la materia del «governo del territorio», la Regione Emilia-Romagna, con legge 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio), ha perseguito il fine di realizzare un efficace ed efficiente sistema di programmazione e pianificazione territoriale che operi per il risparmio delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche, per il benessere economico, sociale e civile della popolazione regionale, senza pregiudizio per la qualità della vita delle future generazioni.
10.2. – Il coinvolgimento della Conferenza unificata nella procedura di emanazione dei decreti legislativi, di cui all’art. 25, comma 1, in quanto limitato ad un parere, è dalla difesa regionale ritenuta una modalità che non rappresenta adeguatamente le istanze di partecipazione delle Regioni alle scelte generali. Nondimeno, la Regione Emilia-Romagna non intende censurare questa disposizione, atteso che «lo specifico ruolo regionale dovrà […] necessariamente essere salvaguardato nella fase successiva della gestione attuativa ed esecutiva». Tale specifico ruolo dovrebbe essere salvaguardato con riferimento sia alle Regioni nel loro insieme, sia alle Regioni direttamente interessate dagli insediamenti delle centrali nucleari. Ed è nell’intento di salvaguardare tale ruolo che la Regione Emilia-Romagna impugna l’art. 25, comma 2, con riferimento alle previsioni di cui alle lettere a), f), g) e h).
La possibilità, di cui all’art. 25, comma 2, lettera a), di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione, non è subordinata ad alcuna partecipazione della Regione interessata, né della Conferenza unificata.
Altrettanto illegittima appare la previsione di cui alla successiva lettera f), in relazione alla disciplina del potere sostitutivo del Governo da esercitare in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi enti locali coinvolti.
Inoltre, né la lettera g) né la lettera h) prevedono che sulla autorizzazione unica, per i profili attinenti alla localizzazione e alle caratteristiche dell’impianto, sia richiesta l’intesa della Regione interessata, come sarebbe costituzionalmente necessario.
Secondo la difesa regionale, il ruolo assegnato alle Regioni è insufficientemente tutelato sia per quanto riguarda il loro insieme, sia – ed ancor più – per quanto riguarda le Regioni direttamente interessate, il cui consenso non viene mai richiesto. Dal canto suo, la Conferenza unificata può esprimere solo pareri non vincolanti relativamente alle scelte strategiche e di alta amministrazione, mentre l’intesa è prevista solo in sede di procedimento di autorizzazione unica, quando ormai la localizzazione dell’impianto è già stata decisa.
10.2.1. – Nello specifico, la ricorrente censura il carattere ambiguo dell’impugnato art. 25, comma 2, lettera f), non essendo dato comprendere se nell’espressione «i diversi enti locali» il legislatore delegante intendesse includere anche le Regioni, o soltanto le Province ed i Comuni.
Ove s’intendesse che le Regioni rientrino tra gli «enti locali» in relazione ai quali debbono essere previsti poteri sostitutivi per l’ipotesi della mancata intesa, la disposizione apparirebbe incostituzionale per violazione degli articoli 118 e 120 Cost., nonché del principio di leale collaborazione. Versandosi in una ipotesi di «chiamata in sussidiarietà», secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, l’intesa dovrebbe essere “forte”. Prevedere l’intesa e, nel contempo, prevedere l’esercizio del potere sostitutivo statale per il caso di mancato raggiungimento dell’intesa equivarrebbe a «degradare» sin dall’inizio il carattere “forte” dell’intesa e ad attribuire una posizione di debolezza all’ente territoriale (sono citate le sentenze n. 383 del 2005 e n. 6 del 2004).
Peraltro – prosegue la difesa regionale – l’impugnata disposizione non condiziona il potere sostitutivo ad una inerzia della Regione, bensì ad ogni caso di dissenso, anche pienamente motivato, con conseguente declassamento dei rapporti fra Regioni e Stato dal livello delle intese in senso forte a quello delle intese in senso debole. Ne deriverebbe anche un ridimensionamento della motivazione statale a ricercare effettivamente l’intesa.
A sostegno di tale lettura, la ricorrente richiama l’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3), secondo cui il potere sostitutivo è esercitabile se la Regione non adotta «provvedimenti dovuti o necessari». E questo non è certo il caso dell’intesa, che è per definizione un atto che può essere dato o meno, a seconda delle valutazioni discrezionali dell’ente coinvolto.
Sempre nell’ipotesi che intenda riferirsi anche alle Regioni, la contestata disposizione risulterebbe illegittima anche per violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost., in quanto parrebbe prevedere una ipotesi di potere sostitutivo statale al di fuori dei presupposti costituzionali. Infatti, il mancato raggiungimento dell’intesa nella materia oggetto dell’art. 25 non concreta alcuna delle situazioni indicate tassativamente dalla evocata previsione costituzionale: la mancata realizzazione di una centrale nucleare non implica una violazione di norme internazionali o comunitarie, né un pericolo grave per l’incolumità pubblica, né pregiudica l’unità giuridica o economica o i livelli essenziali delle prestazioni.
Ad ogni modo, per la ricorrente parimente incostituzionale sarebbe la disposizione in oggetto anche nell’ipotesi in cui in essa non risultassero incluse le Regioni.
In primo luogo, appare illegittimo, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione, che la norma impugnata contempli intese con gli enti locali che non coinvolgano anche le Regioni, vale a dire con gli enti titolari della competenza legislativa e del potere di allocare le funzioni amministrative nelle materie dell’energia e del governo del territorio.
Inoltre, l’art. 25, comma 2, lettera f), non prevede un coinvolgimento della singola Regione interessata nella procedura sostitutiva dell’ente locale: coinvolgimento necessario in virtù delle competenze regionali appena indicate e del principio di leale collaborazione.
Per entrambe le questioni, infatti, è impossibile immaginare nella materia delle centrali nucleari una «necessaria intesa» con un ente locale, il cui mancato raggiungimento richieda addirittura l’uso di un potere sostitutivo, nella quale non siano coinvolti gli interessi della comunità regionale, al di là di quelli meramente locali.
10.2.2. – Quanto alle censurate previsioni di cui alle lettere g) e h) dell’art. 25, comma 2, per la ricorrente la denunciata illegittimità discenderebbe dalla mancata previsione del principio e criterio direttivo secondo cui la localizzazione dell’impianto richiede, altresì, l’intesa della Regione nel cui ambito esso deve essere realizzato.
Il coinvolgimento della Conferenza unificata non può essere ritenuto equivalente o sostitutivo di quello della Regione interessata, essendo diversi il tipo e l’ambito degli interessi che nelle due sedi sono esaminati. La necessità del consenso della Regione in relazione alla localizzazione di grandi opere, la cui realizzazione imprima al territorio una caratterizzazione tanto forte da incidere sulla sua complessiva destinazione e su tutti gli interessi che in esso insistono, sarebbe implicita nel sistema di applicazione del principio di sussidiarietà sin dalla sentenza n. 303 del 2003, nella quale espressamente si afferma che «per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina». Principio, in seguito, ribadito proprio in relazione alla materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica» dalla già ricordata sentenza n. 6 del 2004. Ed in questa occasione la Corte ha sottolineato che si deve trattare di un’intesa “forte”, nel senso più volte chiarito (sono richiamate anche le sentenze n. 383 e n. 62 del 2005).
Ad avviso della ricorrente, la denunciata illegittimità non viene meno per il fatto che la successiva lettera h) prevede che «l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni interessate». A parte la genericità dell’espressione «amministrazioni interessate», e pur dando per scontato che tra esse vadano incluse le Regioni, l’istituto dell’intesa implica uno specifico rapporto bilaterale tra lo Stato e la Regione interessata, costituito da una altrettanto specifica trattativa tra due parti, ed assistito da un dovere particolare di attenzione e di reciproca collaborazione. Tale rapporto speciale non può essere diluito e confuso in una generica partecipazione al procedimento quale «amministrazione interessata».
La necessità del rapporto specifico di intesa, quanto alla localizzazione delle centrali, appare asseverata, all’interno della stessa legge qui scrutinata, dal nuovo testo dell’art. 1-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge n. 239 del 2003, introdotto dall’art. 27, comma 24, lettera c), della stessa legge n. 99 del 2009 (al riguardo, sono formulati gli stessi rilievi di cui supra, par. 2.2.).
10.2.3. – Per quanto concerne la doglianza relativa all’art. 25, comma 2, lettera a), la ricorrente non contesta la necessità che i siti delle centrali nucleari siano soggetti a speciali forme di vigilanza e protezione. Essa ritiene di dovere essere coinvolta sia nella esatta individuazione dell’area da qualificare come «di interesse strategico nazionale», sia nella stessa individuazione delle forme di vigilanza e protezione. Ciò nella consapevolezza che non si tratti semplicemente di un problema di ordine pubblico, ma che la qualifica in questione conferisca ad aree non necessariamente coincidenti con quella della centrale nucleare strettamente intesa uno status territoriale speciale, comportante uno specifico regime dell’attività urbanistica ed edilizia, intrecciandosi così con la materia del governo del territorio e con tutti gli interessi inerenti a tale vastissima materia.
Anche alla luce di quanto previsto dall’art. 2, comma 4, del decreto-legge n. 90 del 2008, sulla qualificazione di aree come di interesse strategico nazionale, la Regione Emilia-Romagna sostiene che debba essere stabilito come vincolo costituzionale nella stessa legge di delega che all’individuazione dell’area e delle relative misure di protezione debba procedersi d’intesa con la Regione o le Regioni direttamente interessate, per le medesime ragioni per le quali l’intesa risulta necessaria in relazione alla stessa localizzazione della centrale.
10.2.4. – Infine, quanto alla censurata disposizione di cui all’art. 26, comma 1, sarebbe evidente, ad avviso della ricorrente, la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., sulla allocazione della potestà regolamentare, atteso che la materia incisa dalla impugnata previsione è quella, concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (anche in relazione a questo profilo è invocata, quale precedente, la sentenza n. 303 del 2003).
Anche qualora, in subordine, si ritenesse che l’esercizio di tale competenza da parte del CIPE corrisponda alle esigenze del principio di sussidiarietà, l’art. 26, comma 1, rimarrebbe comunque illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione e del dovere di prevedere forme di coordinamento tra Stato e Regioni.
Dato l’intreccio tra esigenze unitarie ed interessi territoriali, appare ragionevole prevedere che lo Stato, d’intesa con la Conferenza unificata, individui le caratteristiche obbligatorie e i requisiti minimi che gli impianti nucleari e di stoccaggio e smaltimento debbano avere, ovunque essi siano localizzati nel territorio nazionale. Sennonché, una volta individuate tali caratteristiche, non può che spettare alle Regioni un ruolo determinante nell’esercizio della competenza amministrativa di scelta tra le varie tipologie di impianti a norma e rientranti nelle caratteristiche obbligatorie ammesse dallo Stato per tutto il territorio nazionale, che «il mercato» propone, di quelle che appaiano le più idonee e confacenti, in base ai requisiti specifici di conformazione, utilizzazione, ambientamento, vigilanza, professionalità richiesti per la gestione di costi sia di acquisto che di manutenzione, ai fini della specifica localizzazione regionale nella quale tali impianti debbono inserirsi.
Al contrario – obietta la difesa regionale – l’impugnata disposizione ha demandato ogni competenza di scelta degli impianti ad un organo amministrativo dello Stato. Quando l’attività amministrativa «impatta nel cuore di materie di competenza concorrente che strettamente ed inscindibilmente si intrecciano, una concezione “dinamica” della sussidiarietà richiede un procedimento e strumenti idonei a garantire la leale collaborazione tra Stato e Regioni. E più i poteri sono intrecciati, più devono essere adottate procedure idonee a garantire la leale collaborazione».
Ne conseguirebbe, dunque, l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, che richiede il solo «previo parere della Conferenza unificata», anziché l’intesa.
Quando poi si tratti della determinazione della tipologia dello specifico impianto in uno specifico luogo, l’esigenza di leale collaborazione e dei relativi meccanismi istituzionali corrisponde al dovere di istituire un meccanismo di codecisione al quale partecipi la Regione direttamente, mediante lo strumento dell’intesa di tipo “forte”.
10.3. – Con atto depositato il 9 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
10.3.1. – In via preliminare, l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
10.3.2. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) g) e h), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
A detta della parte resistente, parrebbe ulteriormente inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa alla lettera f), nella parte in cui mira a tutelare le attribuzioni degli enti locali, «il che non è consentito dalla previsione di cui all’art. 127 Cost.».
10.3.3. – In ordine alla doglianza relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.3.).
11. – Con ricorso notificato il 12 ottobre 2009 e depositato il successivo giorno 16 dello stesso mese (iscritto al r.r. n. 91 del 2009), la Regione Molise ha promosso, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettera g), e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
11.1. – Il denunciato art. 25, comma 2, lettera g), prevede la acquisizione del solo mero parere della Conferenza unificata, «ma non sono previsti accordi vincolanti tra Governo e territorio». Gli enti locali sono chiamati a pronunciarsi al termine di un procedimento al quale partecipano le amministrazioni interessate. Il Governo può, inoltre, sostituirsi a Regione ed enti locali in caso di loro disaccordo sulla localizzazione scelta per gli impianti.
Similmente, il contestato art. 26, comma 1, prevede che la definizione della tipologia degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare abbia luogo previo mero parere della Conferenza unificata.
Le due denunciate disposizioni violerebbero tanto l’art. 117, terzo comma, Cost., avendo le Regioni potestà legislativa concorrente in materia di «governo del territorio» e di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», quanto l’art. 118 Cost., in relazione al principio di leale collaborazione. Secondo la ricorrente, le Regioni vengono escluse dall’iter decisionale relativo alla localizzazione degli impianti, sia nell’elaborazione dei decreti attuativi della delega, sia nei procedimenti autorizzativi immediatamente efficaci, laddove, in ossequio alla costante giurisprudenza costituzionale, si rivelerebbe necessaria una intesa con le Regioni interessate (sono richiamate, al riguardo, le sentenze n. 383 e n. 62 del 2005).
Peraltro, proprio in relazione alla legge della Regione Molise 27 maggio 2005, n. 22 (Disciplina regionale in materia di rifiuti radioattivi), pur ribadendo la competenza statale esclusiva sulla tutela dell’ambiente, questa Corte ha stabilito che, individuato il sito in cui collocare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, al momento della sua «validazione», della localizzazione e realizzazione del deposito, si deve dare adeguata tutela costituzionale all’interesse territoriale della Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata, il che rende insufficiente il mero parere della Conferenza unificata (sentenza n. 247 del 2006).
11.2. – Con atto depositato il 16 novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
11.2.1. – In via preliminare, l’Avvocatura eccepisce la tardività del ricorso, essendo stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica in una data – il 9 ottobre 2009 – ben distante dalla scadenza del prescritto termine di sessanta giorni alla pubblicazione della legge n. 99 del 2009.
11.2.2. – La difesa dello Stato espone, poi, le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia (v. supra, par. 1.3.2.).
11.2.3. – Quanto alla impugnazione delle disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
11.2.3. – In ordine alla doglianza relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.3.).
12. – In tutti i giudizi ha spiegato intervento l’Enel s.p.a., con atti di identico contenuto, depositati il 24 novembre 2009.
12.1. – La difesa dell’Enel s.p.a. sostiene, innanzitutto, l’ammissibilità del proprio intervento, in quanto «soggetto portatore di interessi generali e di natura pubblicistica».
A tal fine, la difesa della società interveniente allega non solo precedenti giurisprudenziali (sentenze n. 344 del 2005 e n. 353 del 2001), bensì anche elementi di sistema tratti dalla riforma costituzionale del titolo V, Parte seconda, della Costituzione. La valorizzazione dei princìpi di pluralismo, autonomia e sussidiarietà, avrebbe reso il giudizio di legittimità costituzionale in via principale «la sede privilegiata dell’incontro tra le istanze di soggetti che, a vario titolo, si fanno portatori di interessi pubblici».
Nel presente giudizio è coinvolto un ambito materiale – quale quello della energia nucleare – «che pone questioni ben più articolate e complesse di quelle volte all’astratta soluzione delle incertezze definitorie in ordine ai confini tra competenze legislative regionali e statali».
D’altro canto, l’esercizio della funzione legislativa in un senso difforme da quello delineato dalla legge n. 99 del 2009 «comprometterebbe, in via irreversibile e definitiva, la possibilità di Enel s.p.a. di svolgere regolarmente le funzioni ad essa assegnate dal quadro normativo nazionale e comunitario di riferimento».
Secondo questa linea difensiva, l’Enel s.p.a. sarebbe portatrice di interessi che trascendono la sfera meramente privata per assurgere ad una «dimensione spiccatamente pubblicistica». Detta società, nonostante l’intervenuta privatizzazione, continua ad essere affidataria della cura di rilevanti interessi pubblici, senza trascurare quanto previsto dall’art. 13 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), a mente del quale Enel s.p.a. «assume le funzioni di indirizzo strategico e coordinamento dell’assetto industriale e delle attività esercitate dalle società da esse controllate».
Quanto, infine, alla possibilità di esperire altre azioni di tutela, la difesa di Enel s.p.a. obietta che, «trattandosi di intervento ad opponendum», l’eventuale accoglimento delle questioni «sarebbe preclusivo di qualsiasi forma di tutela successiva, traducendosi in una grave lesione del diritto di difesa dell’interveniente (art. 24 Cost.), che non avrebbe più luoghi e spazi giudiziari in cui far valere le proprie ragioni».
12.2. – Nel merito, osserva la difesa della interveniente che, soprattutto alla luce della direttiva 25 giugno 2009, n. 2009/71/Euratom (Direttiva del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari), il diritto comunitario considera preminente il tema della sicurezza delle centrali nucleari, in relazione alle implicazioni associate alla sicurezza delle imprese e, ancor di più, al benessere delle comunità. Da ciò scaturiscono doveri inderogabili, posti a carico degli Stati membri, a cominciare dalla individuazione delle zone più idonee alla localizzazione degli impianti sino ad arrivare alla distribuzione dell’energia ed allo stoccaggio delle scorie radioattive: «si tratta, con tutta evidenza, di operazioni che devono essere coordinate, gestite e poste in essere alla luce di un programma unitario che solo lo Stato può e deve adottare».
In questo quadro si colloca l’«opzione nucleare» nelle «equilibrate forme» di cui alla legge in oggetto.
12.3. – Passando in rassegna le singole censure, la interveniente ritiene non fondate le impugnazioni basate sulla asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., giacché le denunciate previsioni appaiono, in prevalenza, espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato.
In via preliminare, la difesa dell’Enel s.p.a. contesta l’inquadramento, accolto nei ricorsi, nella materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». In più occasioni questa Corte ha fatto applicazione del criterio di prevalenza allorché sia riscontrabile un intreccio di molteplici ambiti oggettivi di intervento. Nel caso di specie, trattandosi della scelta di valorizzare l’opzione dell’approvvigionamento energetico attraverso il ricorso alla fonte nucleare, rilevano settori di competenza esclusiva dello Stato: la «tutela dell’ambiente» (v. sentenze n. 282 e n. 166 del 2009; n. 247 e n. 103 del 2006 e n. 62 del 2005); la «tutela della concorrenza» (v. sentenze n. 88 del 2009 e n. 1 del 2008); la «sicurezza e l’ordine pubblico» (v. sentenza n. 18 del 2009); i rapporti internazionali dello Stato.
Stando così le cose, «sarà il legislatore delegato a graduare, nell’ambito della legislazione delegata, quanto spazio dare alla prevalenza o alla leale collaborazione», nel rispetto di quanto statuito da questa Corte.
12.4. – Quanto al contestato ricorso allo strumento della delega legislativa, ricorda innanzitutto la interveniente che, secondo questa Corte, nei giudizi in via principale le Regioni possono evocare parametri diversi da quelli relativi al riparto di attribuzioni solo allorché la denunciata violazione ridondi in una lesione delle stesse competenze regionali. Nel caso in esame, una eventuale lesione potrebbe discendere solo dall’adozione di decreti legislativi recanti norme di dettaglio in ambiti di competenza concorrente.
In secondo luogo, questa Corte ha più volte affermato che il confine tra i princìpi e criteri direttivi (nel caso della delega legislativa) ed i princìpi fondamentali (nel caso della potestà legislativa concorrente) «non può essere stabilito una volta per tutte» (sentenza n. 50 del 2005; è citata anche la sentenza n. 359 del 1993). Pertanto, ben può il Parlamento ricorrere alla delega legislativa pur in ambiti di competenza concorrente.
12.5. – Per ciò che riguarda le altre doglianze, la difesa della società interveniente ripercorre le tappe giurisprudenziali che hanno condotto alla edificazione del modello della «chiamata in sussidiarietà» (v. sentenze n. 76 del 2009 e n. 303 del 2003). In questo quadro s’inserisce il potere statale di sostituzione, concepito allo scopo di scongiurare il sacrificio di interessi essenziali dell’ordinamento costituzionale, che, secondo questa Corte, «fa sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze» (sentenza n. 236 del 2004; è citata altresì la sentenza n. 371 del 2008).
12.6. – Quand’anche questa Corte dovesse ascrivere la normativa in oggetto, anche solo in parte, alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», per la interveniente resterebbero, comunque, primariamente rilevanti esigenze di carattere unitario tali da giustificare l’allocazione delle funzioni amministrative presso le autorità statali.
Dalla giurisprudenza costituzionale si evince che è allo Stato che «naturalmente non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia» (sentenza n. 383 del 2005; vedi anche sentenza n. 6 del 2004). Questa Corte ha, peraltro, escluso la possibilità di autonome previsioni legislative regionali volte a definire criteri tecnici in materia energetica (sentenze n. 103 del 2006, n. 336 del 2005 e n. 7 del 2004). Similmente, in materia di emissioni elettromagnetiche, è stata riconosciuta la legittimità della fissazione, in ambito nazionale, di valori-soglia non derogabili dalle Regioni (sentenza n. 307 del 2003), così come si è precisato che i criteri localizzativi e gli standard urbanistici fissati a livello locale debbono rispettare «le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti» (ancora sentenza n. 307 del 2003).
La tendenza, frequente in sede locale, ad ostacolare interventi non graditi «non può tradursi in un impedimento insormontabile alla realizzazione degli impianti necessari per una corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di rilievo ultraregionale» (sentenza n. 62 del 2005).
12.7. – Infine, per la interveniente sarebbero inammissibili, per carenza di lesione attuale, oltre che non fondate, le censure relative al procedimento contemplato dalle impugnate disposizioni, sotto il profilo della lamentata inosservanza del principio di leale collaborazione, atteso che dalla delega «non si ricava ancora una scansione procedimentale definita, univoca e definitivamente scolpita».
13. – Nei giudizi promossi dalle Regioni Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata e Piemonte (r.r. n. 70, n. 71, n. 72, n. 73 e n. 75 del 2009), ha depositato, in data 24 novembre 2009, atti di intervento, di identico contenuto, il Codacons – Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori.
13.1. – Sostiene l’interveniente che la propria legittimazione «ad intervenire nel presente giudizio di legittimità costituzionale è dovuta al suo costante impegno in materia di tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini, come testimoniato dalle numerose iniziative promosse negli anni». Esso è legittimato ad agire in giudizio e ad intervenire in caso di pregiudizio di interessi collettivi.
13.2. – In merito alle specifiche impugnazioni, l’interveniente denuncia la violazione delle attribuzioni regionali in un ambito materiale, quale quello concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in cui è precluso al legislatore statale emanare norme di dettaglio.
Le scelte relative alla localizzazione degli impianti in oggetto investono una pluralità di interessi tale da esigere una attiva collaborazione tra Stato e Regioni. Al contrario, le contestate disposizioni non configurano adeguate forme di coinvolgimento delle istanze territoriali, contrariamente a quanto più volte richiesto da questa Corte (sentenze n. 62 del 2005; n. 6 del 2004; n. 303 del 2003).
In particolare, l’intervento della Conferenza unificata non sarebbe sufficiente, posto che la realizzazione di una grande opera, quale è una centrale nucleare, incide fortemente sul territorio di una specifica Regione. Soltanto la previsione di una intesa in senso forte consentirebbe di sanare la ravvisata incostituzionalità.
Il denunciato art. 27, comma 27, precluderebbe – a detta dell’interveniente – una normazione di dettaglio in ambito regionale e impedirebbe alla stessa Regione di far valere, a sostegno del proprio rifiuto di stipulare l’intesa ivi prevista, ragioni attinenti alla tutela del territorio e della salute dei cittadini.
14. – Nei giudizi instaurati con i ricorsi delle Regioni Toscana, Umbria, Basilicata, Calabria ed Emilia-Romagna, ha spiegato intervento l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (di seguito: WWF Italia), con atti depositati il 24 novembre (r.r. n. 69, n. 70 e n. 73 del 2009), il 30 novembre (r.r. n. 77 del 2009), ed il 3 dicembre 2009 (r.r. n. 83 del 2009).
14.1. – Quanto alla propria legittimazione ad intervenire, la difesa di WWF Italia sostiene che l’interesse alla tutela dell’ambiente, ancorché formalmente estraneo rispetto ai giudizi, «inerisce immediatamente al rapporto sostanziale», in quanto la decisione di questa Corte «eserciterebbe un’influenza diretta con effetti rilevanti sulla posizione soggettiva dell’Associazione».
14.2. – In merito alla impugnazione dell’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, la difesa della interveniente denuncia la violazione delle competenze regionali nella materia concorrente del «governo del territorio», trattandosi di normativa di dettaglio, e nella materia residuale del «turismo», soggetta alla esclusiva disciplina del legislatore regionale.
14.3. – Relativamente alle doglianze prospettate avverso le disposizioni in materia di energia nucleare, la interveniente WWF Italia concorda con le ricorrenti nel contestare la mancata previsione di adeguate forme di coinvolgimento delle istituzioni regionali, informate al principio di leale collaborazione.
La dichiarazione dei siti quali aree di interesse strategico nazionale, anticipando l’individuazione dei contesti territoriali entro i quali procedere alla installazione delle centrali nucleari, non può prescindere da una intesa in senso forte con la singola Regione interessata.
Il ruolo della Conferenza unificata, poi, non dovrebbe considerarsi equivalente o sostitutivo del raccordo con la Regione nel cui territorio si dovrà procedere alle installazioni in oggetto.
Sarebbe, altresì, illegittima la previsione di un potere sostitutivo da attivare in caso di mancato raggiungimento dell’intesa, dovendo quest’ultima concretizzarsi in una codeterminazione paritaria tra soggetti dotati di attribuzioni costituzionalmente rilevanti.
Così pure non sarebbe immune dai lamentati vizi d’illegittimità la previsione di cui all’art. 27, comma 27, che svuoterebbe di significato l’intesa prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 7 del 2002.
15. – Con atto di intervento depositato il 1° dicembre 2009, è intervenuta, nel giudizio promosso dalla Regione Lazio (con ricorso iscritto al r.r. n. 76 del 2009), la Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.
15.1. – La difesa di Terna s.p.a. ritiene infondate tutte le questioni prospettate dalla ricorrente, alla luce della giurisprudenza costituzionale che, in questi ambiti materiali di intervento, riconosce la legittimità di allocazioni di funzioni amministrative allo Stato, anche in settori di competenza regionale, sia pure nel rispetto del canone generale della ragionevolezza e del principio di leale collaborazione.
In particolare, in merito alla impugnazione dell’art. 27, comma 24, lettera c), della legge in parola, quanto al potere sostitutivo azionabile dallo Stato in caso di mancato raggiungimento delle previste intese, la interveniente considera, innanzitutto, congrua la previsione di membri regionali nel comitato interistituzionale. La stessa interveniente, poi, reputa adeguata la presenza del Presidente della Regione interessata in seno al Consiglio dei ministri chiamato a deliberare l’autorizzazione quivi contemplata in caso di «stallo».
Altrettanto non fondata sarebbe, infine, la censura avente per oggetto l’art. 27, comma 24, lettera d), giacché la necessità del consenso manifestato dal Presidente della Regione interessata garantirebbe una adeguata partecipazione di tale ente al procedimento di approvazione della variante.
16. – La Regione Puglia, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria nella quale, innanzitutto, dà atto di avere impugnato avanti alla Corte il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99) e segnatamente l’art. 4, l’art. 5, commi 1 e 2, l’art. 8, l’art. 11, commi da 5 a 10 e l’art. 13, commi 10 e 11, per violazione degli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost. e dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
La ricorrente, quindi, contesta l’ammissibilità dell’intervento di Enel s.p.a. in quanto non sarebbe portatrice di interessi generali, né di interessi diffusi, bensì di un interesse di impresa che non potrebbe trovare spazio nel giudizio.
In ordine alla contestazione, svolta dall’Avvocatura dello Stato, circa il difetto di interesse al ricorso per mancanza di immediata lesività dello stesso, la Regione Puglia replica sostenendo che la legge delega conterrebbe principi e criteri direttivi tali da permettere al legislatore delegato di violare i principi di sussidiarietà e leale collaborazione, come di fatto è avvenuto. Infatti, l’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 31 del 2010 escluderebbe dalle decisioni le Regioni in quanto, in caso di mancato accordo con la Regione interessata, la decisione sarebbe rimessa all’autorità statale.
La ricorrente contesta, poi, la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, prospettata per genericità del medesimo, dal momento che da questo emergerebbe chiaramente come i motivi di impugnazione siano stati individuati nella mancanza della previa intesa con la Regione interessata ai fini della localizzazione degli impianti nucleari.
Riguardo alle censure relative all’art. 25, comma 2, lettera g), la Regione osserva come il rispetto delle competenze regionali avrebbe dovuto comportare la necessità dell’intesa “forte” con le Regioni interessate ai fini del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione degli impianti, come affermato anche di recente da questa Corte nella sentenza n. 121 del 2010. Al contrario, la disposizione censurata – ritenendo sufficiente la decisione presa dalla Conferenza unificata – consentirebbe il superamento delle scelte delle Regioni e degli enti locali, in contrasto con le esigenze di flessibilità ispirate al principio di sussidiarietà e imposte dalla varietà e complessità degli obiettivi di tutela.
L’incostituzionalità di un’intesa generica con la Conferenza sarebbe dimostrata dal fatto che essa non consentirebbe di tener conto di situazioni particolari delle singole Regioni. Ed infatti, proprio la Regione Puglia contribuirebbe al fabbisogno energetico italiano producendo una quantità di energia superiore al proprio fabbisogno ed avendo investito nella produzione di energia da fonti rinnovabili.
Peraltro, conclude la ricorrente, la attinenza della disciplina censurata alla materia della tutela dell’ambiente, non escluderebbe la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali, come ribadito anche di recente da questa Corte (sentenza n. 248 del 2009).
17. – La Regione Molise, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, dopo aver eccepito l’inammissibilità dell’intervento in giudizio dell’Enel s.p.a., si sofferma sull’eccezione di tardività del proprio ricorso formulata dall’Avvocatura dello Stato.
Pur consapevole del consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale circa la non applicabilità della sospensione feriale dei termini nel giudizio avanti alla Corte, la ricorrente ritiene tuttavia che tale istituto potrebbe trovare ingresso anche in tale giudizio. Ciò in quanto, stante il tenore letterale della legge 14 luglio 1965, n. 818 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale), esso avrebbe portata generale, mentre tassative sarebbero le ipotesi di non applicabilità, stabilite dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale). In tal senso sarebbe anche il diritto vivente, quale risultante dalle decisioni di questa Corte che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge da ultimo citata nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto ad una serie di fattispecie, nonché dalle decisioni della Corte di cassazione.
Peraltro, mancando una disposizione che disciplini la sospensione feriale dei termini nei giudizi costituzionali, la Regione chiede alla Corte di sollevare avanti a sé questione di legittimità costituzionale della legge n. 742 del 1969, nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto anche in tali giudizi.
La ricorrente, quindi, ribadisce le censure prospettate nel ricorso contestando il mancato coinvolgimento delle Regioni interessate nell’iter decisionale relativo alla localizzazione degli impianti.
18. – Anche la Regione Calabria ha depositato una memoria nella quale, oltre a eccepire l’inammissibilità dell’intervento del WWF Italia e dell’Enel s.p.a. secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, afferma che – a differenza di quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato – la ricorrente non ha invocato quale parametro interposto il parere del Comitato delle Regioni, avendone solo richiamato il contenuto per dimostrare come anche a livello comunitario sia auspicato il coinvolgimento delle Regioni.
Con riguardo all’eccepita carenza di interesse al ricorso, la Regione richiama la recente sentenza n. 156 del 2010, nella quale la Corte ha ritenuto che la doglianza circa la lesione della sfera di competenza della ricorrente presuppone la sola esistenza della legge oggetto di censura a prescindere dal fatto che essa abbia avuto concreta attuazione.
Inoltre, i criteri contenuti nella legge delega sarebbero immediatamente lesivi delle prerogative regionali, atteso il loro carattere estremamente dettagliato. Ciò sarebbe chiaramente dimostrato dal fatto che il d.lgs. n. 31 del 2010 contiene la mera riproduzione dei principi impugnati.
Quanto all’accentramento in capo allo Stato della competenza a rilasciare l’autorizzazione unica, la ricorrente, pur non contestando la spettanza al Governo della scelta di riavviare la produzione di energia nucleare, contesta il mancato adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento. Tale coinvolgimento, infatti, dovrebbe avvenire attraverso la previsione dell’intesa con la Regione interessata, la sola – anche alla luce della giurisprudenza costituzionale – idonea a costituire un adeguato contrappeso alla penetrante invasione delle competenze regionali che il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica determina.
19. – A sua volta la Regione Marche ha depositato memoria, insistendo sulle conclusioni già formulate, e domandando altresì che siano dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio costituzionale.
La ricorrente ribatte, in particolare, alle argomentazioni difensive svolte dall’Avvocatura dello Stato, osservando anzitutto che tutte le disposizioni censurate determinano una lesione attuale e concreta delle competenze regionali, poiché non lasciano al legislatore delegato alcuno spazio per attuare la delega in senso conforme a Costituzione.
A riprova di ciò, secondo la Regione, si porrebbero le stesse disposizioni adottate con il d.lgs. n. 31 del 2010, con le quali si è «puntualmente occorso nelle violazioni di norme costituzionali denunciate» in sede di ricorso.
Quanto alla procedura di localizzazione degli impianti, infatti, e all’esercizio del potere sostitutivo, gli artt. 11 e 13 del d.lgs. n. 31 del 2010, consentendo di superare il mancato raggiungimento dell’intesa, disegnano «una procedura che non pone sullo stesso piano lo Stato e la Regione, ma che, viceversa, consegna al primo una posizione preminente e tale, in definitiva, da poter imporre il proprio indirizzo politico alla seconda».
Più radicalmente, non è neppure configurabile, a parere della ricorrente, la sostituzione della Regione, con riguardo ad attività che non siano vincolate nell’an.
Parimenti da rigettare, secondo la Regione, è l’eccezione di inammissibilità delle censure basate su interpretazioni alternative delle disposizioni censurate, sia perché le doglianze sono poste tra loro «in rapporto di subordinazione», sia poiché nel giudizio principale è ammessa la proposizione di questioni basate su interpretazioni meramente possibili.
Quanto all’individuazione delle materie cui ricondurre le norme impugnate, la ricorrente ribadisce il carattere prevalente della materia «produzione, trasporto e distribuzionale nazionale dell’energia», in ragione sia dei precedenti di questa Corte, sia della autoqualificazione dell’intervento normativo contestato, sia dell’oggetto su cui incide la delega, che concerne la procedura per realizzare impianti nucleari. La Regione Marche non nega che vengano coinvolti altresì profili connessi alla tutela dell’ambiente, ma esclude che essi possano mutare la qualificazione della materia, cui conducono gli elementi appena ricordati.
Infine, con riguardo alla possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, il difetto di un adeguato coinvolgimento regionale nella relativa procedura tradirebbe una volontà legislativa tesa ad affermare una “minorità” dell’indirizzo politico regionale, rispetto a quello statale, che non è più consentita, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.
20. – Con memoria depositata il 1° giugno 2010, la Regione Liguria ha formulato ulteriori rilievi in ordine alla asserita incostituzionalità delle impugnate disposizioni.
Per quanto attiene alle eccezioni di inammissibilità promosse dall’Avvocatura dello Stato, per difetto di interesse della ricorrente, la difesa regionale replica osservando che le denunciate previsioni dell’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge delega non sono affatto generiche, atteso che risultano volte a disciplinare la partecipazione regionale al procedimento di autorizzazione unica. Inoltre, il contestato art. 25, comma 2, lettera a), si appalesa già lesivo dal momento che non pone alcun vincolo al Governo quanto al tipo ed all’intensità del coinvolgimento regionale nella individuazione dell’area di interesse strategico nazionale e delle relative misure di protezione.
Nel merito, la difesa regionale contesta l’inquadramento materiale ipotizzato dalla parte resistente, sostenendo che, in realtà, le impugnate disposizioni afferirebbero ad ambiti di competenza concorrente, a cominciare dall’energia. La rilevanza nazionale degli interessi in gioco è sì ragione che giustifica la chiamata in sussidiarietà, ma non può essere evocata «per disconoscere del tutto il riparto costituzionale delle competenze».
Inoltre – prosegue la ricorrente – l’invocazione dell’urgenza ad intervenire non è tale da impedire l’attivazione delle procedure collaborative, come dimostrato innanzitutto dallo stesso ricorso allo strumento della delega legislativa. Semmai, sono proprio le peculiarità caratteristiche della fonte energetica in oggetto a sollecitare la necessaria previsione di un’intesa forte con la Regione interessata.
L’eccezione di inammissibilità della questione relativa all’art. 27, comma 27, prospettata dal resistente, per il carattere ipotetico della relativa doglianza, sarebbe destituita di fondamento, avendo la difesa regionale «avanzato una prima censura “certa” e nient’affatto ipotetica», per poi ipotizzare «un significato ancora più lesivo delle competenze regionali». La confutazione, nel merito, della promossa questione in oggetto sarebbe, a detta della Regione ricorrente, basata su di un argomento apodittico.
Seguono, infine, rilievi relativi all’intervento in giudizio dell’Enel s.p.a.
21. – Con memoria depositata il 1° giugno 2010, la Regione Umbria ha ulteriormente argomentato in merito alle prospettate doglianze. A tal fine, la difesa regionale ha addotto le medesime argomentazioni sviluppate nella memoria della Regione Liguria (v. supra, par. 20).
Quanto, in particolare, alla questione di costituzionalità avente per oggetto l’art. 26, comma 1, l’eccezione di inammissibilità si baserebbe – a detta della difesa regionale – su di un erroneo presupposto quanto all’asserito carattere ipotetico del motivo di ricorso. La Regione ha proposto una censura principale ed una subordinata, in armonia con la giurisprudenza costituzionale che ammette una simile impostazione. Nel merito, la difesa regionale ribadisce la necessità di un adeguato coinvolgimento delle istituzioni regionali.
22. – Con memoria depositata il 1° giugno 2010, la Regione Emilia-Romagna insiste nell’invocare una declaratoria d’incostituzionalità delle impugnate disposizioni.
Quanto alla censura dell’art. 25, comma 2, lettere a), g) e h), e dell’art. 26, comma 1, la difesa regionale espone le medesime argomentazioni svolte nelle memorie, rispettivamente, della Regione Liguria e della Regione Umbria (v. supra, parr. 20 e 21).
In ordine alla impugnazione dell’art. 25, comma 2, lettera f), la ricorrente ribadisce di aver lamentato, innanzitutto, quanto alla previsione del potere di sostituzione, l’inclusione tra gli «enti locali» della Regione. Ove intesa diversamente, la denunciata disposizione sarebbe comunque incostituzionale per la mancata previsione di adeguate forme di coinvolgimento e di partecipazione delle autorità regionali.
Inoltre, con altra memoria depositata il 1° giugno 2010, la Regione Emilia-Romagna lamenta l’illegittimità dell’intervento in giudizio dell’Enel s.p.a., provvedendo altresì a confutare, nel merito, le tesi da quest’ultima propugnate.
23. – Con memoria depositata il 1° giugno 2010, la Regione Lazio riafferma la fondatezza di tutte le questioni prospettate nel ricorso.
In via preliminare, la difesa regionale sostiene la inammissibilità degli interventi di Terna s.p.a. e di Enel s.p.a.
Quanto alla impugnazione dell’art. 3, comma 9, la ricorrente replica all’inquadramento materiale ipotizzato dall’Avvocatura dello Stato osservando che la contestata disposizione ricadrebbe nella materia residuale del turismo. Lo stesso art. 3, comma 9, peraltro, sarebbe comunque illegittimo a cagione della mancata previsione di una qualsiasi forma di coinvolgimento delle Regioni.
In ordine alle questioni di costituzionalità aventi per oggetto gli artt. 25 e 26, la difesa regionale è ferma nel ricondurre il contestato intervento normativo alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia», risultando destituiti di fondamento i tentativi di diversa collocazione operati dalla controparte. Ove si ammetta una chiamata in sussidiarietà anche in questo ambito, sarebbe comunque necessaria la previsione di una intesa forte con le Regioni interessate.
È ribadita, poi, l’illegittimità del ricorso alla delega legislativa, atteso che il conseguente decreto legislativo «per sua natura» è legittimato a porre norme di dettaglio spettanti, al contrario, al legislatore regionale.
Infine, la ricorrente ribadisce quanto già sostenuto in merito alle questioni relative alle impugnate disposizioni di cui all’art. 27.
24. – L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato un’unica memoria in tutti i ricorsi in oggetto, insistendo sulle conclusioni già rassegnate.
L’Avvocatura, dopo aver ribadito quanto osservato nel proprio atto di costituzione, aggiunge che «la chiave di lettura del riparto di competenze di cui al Titolo V non può prescindere dalla essenziale considerazione […] della unità ed indivisibilità della Repubblica».
In questa prospettiva, «la considerazione degli interessi coinvolti nella scelta nucleare porta con ogni ragionevole certezza ad affermare l’assoluta prevalenza della dimensione generale ed unitaria e della necessità conseguente di una disciplina comune e uniforme».
Per tale ragione, prosegue l’Avvocatura, va affermata l’inerenza delle norme impugnate a titoli di competenza esclusiva statale. Quand’anche si vertesse in materia oggetto di potestà concorrente, «nella Costituzione non è accordato certamente alle Regioni un diritto di veto in ordine alle scelte statali». Non sarebbe, quindi, possibile ricorrere all’intesa forte con ciascuna Regione interessata nel campo dell’energia nucleare, poiché «non si ha a che fare con gli interessi di una sola Regione», e si è dovuto, per tale motivo, anche introdurre «un sistema di superamento del mancato raggiungimento delle necessarie intese».
Con riguardo alle censure relative all’art. 27, comma 27, della legge impugnata, la resistente esclude che, in via interpretativa, tale disposizione possa vanificare le forme di partecipazione della Regione alle intese previste dalla vigente legislazione, in tema di insediamento di impianti energetici.
Altresì infondate sarebbero le doglianze mosse dalla sola Regione Lazio, avverso gli impugnati commi del medesimo art. 27.
Infine, l’art. 3, comma 9, della legge impugnata costituisce, secondo l’Avvocatura, una norma di principio, rispettosa delle competenze regionali.
25. – Con quattro memorie, tutte depositate il 31 maggio 2010, il Codacons, Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, ha reiterato la propria istanza a vedersi riconoscere la legittimazione ad intervenire nei presenti giudizi. A tal fine, è invocato l’art. 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, là dove si fa riferimento alla possibilità di intervento di «altri soggetti». Se è pur vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte sono legittimati a costituirsi solo i soggetti titolari della potestà legislativa, sarebbe altrettanto vero che al Codacons «non si può non riconoscere […] un ruolo importante nell’iter legislativo in tema di tutela dell’ambiente, in quanto associazione che rappresentando l’interesse dei cittadini a tale bene-vita deve quanto meno esser informata e sentita nelle scelte legislative».
Nel merito, sono riproposte argomentazioni non dissimili da quelle già sviluppate negli atti di intervento.
26. – Con undici memorie depositate il 1° giugno 2010, la interveniente Enel s.p.a. ha ulteriormente argomentato in ordine alle questioni promosse da tutte le ricorrenti.
In via preliminare, la difesa di Enel s.p.a. ribadisce: l’ammissibilità del proprio intervento; la prevalente competenza esclusiva del legislatore statale nelle materie oggetto delle impugnate disposizioni; il legittimo ricorso alla delega legislativa; la piena legittimità delle previsioni concernenti il potere sostitutivo.
La interveniente conferma la propria posizione in ordine alla denunciata inammissibilità delle doglianze relative al procedimento, per totale carenza di lesione attuale. E ciò alla luce del sopravvenuto decreto legislativo n. 31 del 2010: in considerazione delle modalità con le quali tale atto normativo è stato adottato, si avrebbe conferma del fatto che la «ipotetica temuta modalità di attuazione» della delega «non si è rivelata reale».
In relazione, poi, alle specifiche censure prospettate, talvolta in modo diversificato, dalle ricorrenti, la difesa della interveniente ripropone le argomentazioni sviluppate negli atti di costituzione.
27. – Con atto depositato il 1° giugno 2010, l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), ha presentato istanza di rinvio della trattazione del ricorso iscritto al r.r. n. 83 del 2009, al fine di riunirlo a quelli, non fissati, promossi avverso il d.lgs. n. 31 del 2010 dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia, con i ricorsi iscritti, rispettivamente, ai nn. 75, 76 e 78 del 2010.
28. – La Regione Piemonte, con atto depositato il 15 giugno 2010, ha dichiarato di rinunciare alle questioni di legittimità costituzionale aventi per oggetto l’art. 25, comma 2, e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009, avendo il d.lgs. n. 31 del 2010 «introdotto disposizioni ritenute di effettiva apertura sul fronte del coinvolgimento degli enti territoriali interessati».
29. – Con atto depositato il 17 giugno 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato istanza di rinvio della trattazione, fissata per l’udienza pubblica del 22 giugno 2010, al fine di riunire i ricorsi presentati avverso la legge n. 99 del 2009, ai ricorsi presentati dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia avverso il d.lgs. n. 31 del 2010.
Considerato in diritto
1. – Le Regioni Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Piemonte, Lazio, Calabria, Marche, Emilia-Romagna e Molise, con distinti ricorsi, hanno promosso questioni di legittimità costituzionale avverso numerose disposizioni della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia).
In particolare, le Regioni Lazio e Toscana hanno censurato l’art. 3, comma 9, per violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e la sola Regione Lazio anche dell’art. 117, quarto comma, Cost.
Tutte le ricorrenti hanno impugnato disposizioni dell’art. 25, recante «Delega al Governo in materia nucleare», ed in particolare:
– l’art. 25, comma 1, per violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma, Cost. (Regione Lazio), nonché degli artt. 117 e 118 Cost. (Regioni Lazio e Basilicata), e del principio di leale collaborazione (Regione Basilicata);
– l’art. 25, comma 2, lettera a), per violazione dell’art. 117, terzo comma, e dell’art. 118 Cost., anche in relazione al principio della leale collaborazione (Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria), e dell’art. 117, quarto comma, Cost. (Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria);
– l’art. 25, comma 2, lettera f), per contrasto con gli artt. 117, commi terzo (Regioni Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Umbria e Marche) e quarto (Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria), 118 e 120 Cost. (Regioni Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Umbria e Marche), con il principio di leale collaborazione (tutte le ricorrenti, salvo la Regione Lazio), nonché con l’art. 3 Cost. (Regione Marche);
– l’art. 25, comma 2, lettera g), (disposizione impugnata da tutte le ricorrenti) e lettera h), (disposizione impugnata dalle Regioni Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria), per violazione dell’art. 117, commi secondo (parametro evocato dalle Regioni Puglia, Umbria, Emilia-Romagna e Liguria), terzo e quarto (Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria), dell’art. 118 Cost., anche in relazione al principio di leale collaborazione (tutte le ricorrenti), dell’art. 3 Cost. (Regioni Piemonte e Calabria), dell’art. 97 Cost. (Regione Calabria) e dell’art. 120 Cost. (Regioni Puglia, Piemonte, Calabria);
– l’art. 25, comma 2, lettere l) e q), per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. (Regione Lazio).
È impugnato, altresì, l’art. 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009 per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. (Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Marche), degli artt. 117, terzo comma, 118 Cost. e del principio di leale collaborazione (Regioni Lazio, Basilicata, Umbria, Emilia-Romagna, Piemonte, Marche e Molise), nonché degli artt. 3 e 120 Cost. (Regione Piemonte).
La Regione Lazio ha impugnato, inoltre, taluni commi dell’art. 27, ed in particolare:
– il comma 14 e il comma 24, lettere c) e d), per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.;
– il comma 28 per violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma, Cost.;
– il comma 31 per lesione degli artt. 117 e 118 Cost.;
– il comma 31, punto 2, in quanto violerebbe l’art. 97 Cost. e il principio del buon andamento della pubblica amministrazione;
– il comma 34, per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.
Infine, è impugnato l’art. 27, comma 27, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. (Regioni Umbria, Liguria e Piemonte), e degli artt. 118 e 120 Cost. (Regione Piemonte).
1.2. – Considerato che i ricorsi sono diretti in larga parte contro le medesime norme e pongono questioni analoghe, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. – Nei presenti giudizi, sopra specificati, sono intervenuti l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), (r.r. n. 69, 70, 73, 77 e 83 del 2009), il Codacons Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (r.r. n. 70, 71, 72, 73 e 75 del 2009), l’ Enel s.p.a. (r.r. n. 69, 70, 71, 72, 73, 75, 76, 77, 82, 83 e 91), Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a. (r.r. n. 76 del 2009).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di costituzionalità delle leggi in via d’azione si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (ex plurimis, sentenze n. 250 e n. 225 del 2009).
Dal canto suo, l’art. 4, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, evocato dal Codacons e dall’Enel s.p.a., non autorizza a trarre diverse conclusioni, poiché tiene ferma la competenza di questa Corte a decidere sulla ammissibilità di «eventuali interventi di altri soggetti». Ad ogni modo, pur a prescindere da tale preliminare ed assorbente profilo, le norme impugnate, di carattere generale ed astratto, non hanno per oggetto, in modo immediato e diretto, una posizione giuridica differenziata delle parti intervenienti, che possa venire irrimediabilmente pregiudicata dall’esito dei presenti giudizi.
Per questi motivi, tutti gli interventi sono inammissibili.
3. – Il ricorso della Regione Molise (iscritto al r.r. n. 91 del 2009) è inammissibile in quanto notificato oltre il termine previsto dall’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), termine stabilito a pena di decadenza, senza che operi l’istituto della sospensione feriale (ex plurimis: sentenza n. 318 del 2009 e ordinanza n. 42 del 2004). La denunciata legge, infatti, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2009, mentre il ricorso risulta consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica solo il 9 ottobre 2009.
La Regione Molise, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha peraltro chiesto a questa Corte di sollevare, d’ufficio, avanti a sé questione di legittimità costituzionale della legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale), nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto della sospensione feriale dei termini anche al processo costituzionale.
Al riguardo questa Corte, fin dalla sentenza n. 15 del 1967, ha escluso l’applicabilità dell’istituto in parola ai giudizi di costituzionalità. Questo orientamento è stato ribadito anche successivamente all’emanazione della legge n. 742 del 1969 «poiché la formulazione letterale dell’art. 1 – molto più precisa di quella adottata nel corrispondente articolo della legge n. 818 del 1965 – non lascia ombra di dubbio che il legislatore abbia inteso escludere i giudizi di costituzionalità dall’ambito di applicazione della normativa sulla sospensione dei termini. Si specifica invero nel citato articolo che la sospensione si riferisce al “decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative”» (sentenza n. 30 del 1973).
La giurisprudenza costituzionale successiva ha costantemente confermato tale interpretazione (sentenze n. 233 del 1993 e n. 215 del 1986, ordinanza n. 126 del 1997), motivandola con specifico riguardo alle peculiari esigenze di rapidità e certezza cui il processo costituzionale deve rispondere, alla luce delle quali va superato il dubbio di costituzionalità avanzato dalla ricorrente (sentenza n. 30 del 1973).
4. – Deve darsi atto che la Regione Piemonte, con atto notificato a tutte le parti il 14 giugno 2010, ha rinunciato al ricorso limitatamente all’impugnazione concernente l’art. 25, comma 2, lettera g), e l’art. 26 comma 1, della legge n. 99 del 2009. La rinuncia è stata accettata dal Presidente del Consiglio dei ministri, di tal che il relativo processo, per tali parti, va dichiarato estinto.
5. – Preliminarmente, devono essere dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettere g) e h), promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. dalla Regione Calabria, nonché la questione di costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera f), promossa dalla Regione Marche in riferimento all’art. 3 Cost.
Trattasi, invero, di doglianze basate su parametri estranei al riparto delle competenze, rispetto alle quali le ricorrenti non hanno dimostrato la incidenza sulle attribuzioni regionali (tra le più recenti, sentenze n. 52 del 2010 e n. 233 del 2009).
6. – Ugualmente inammissibili sono le questioni di costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera g), promosse dalle Regioni Umbria, Liguria, Puglia ed Emilia-Romagna, e dell’art. 25, comma 2, lettera h), promossa dalla sola Emilia-Romagna, poiché le ricorrenti, indicando – quale parametro asseritamente violato – l’art. 117, secondo comma, Cost., hanno evocato una disposizione attributiva di una competenza esclusiva statale (sentenza n. 116 del 2006).
7. – Inammissibili sono, inoltre, le questioni di legittimità costituzionale, promosse dalla Regione Calabria, aventi ad oggetto l’art. 25, comma 2, lettere g) e h), e dalla Regione Puglia, aventi ad oggetto l’art. 25, comma 2, lettera g), nonché la questione promossa dalla Regione Piemonte, in riferimento all’art. 27, comma 27, in quanto basate su parametri – l’art. 120 Cost. e, quanto al solo Piemonte, anche l’art. 118 Cost. – senza alcuna motivazione che ne chiarisca la pertinenza.
8. – Inammissibili devono essere, altresì, dichiarate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Lazio, aventi per oggetto l’art. 27, commi 14, 24, lettere c) e d), 28, 31 e 34 della legge n. 99 del 2009, in riferimento agli artt. 76, 97, 117 e 118 Cost.
Questa Corte ha più volte statuito che, a pena d’inammissibilità, deve sussistere una piena corrispondenza tra le disposizioni impugnate dal ricorso e le disposizioni individuate dalla delibera con cui la Giunta (nell’ipotesi di iniziativa regionale) ne ha autorizzato la proposizione (sentenza n. 533 del 2002).
Inoltre, si è precisato che anche nelle delibere dell’organo politico che, pur non censurando un’intera legge, ne selezionano una parte cospicua, l’indicazione delle disposizioni oggetto di censura deve avere un «necessario grado di determinatezza», in difetto del quale la individuazione delle previsioni da impugnare, tra le molte che compongono una disciplina formalmente unica, verrebbe rimessa alla difesa tecnica, che è priva di tale prerogativa (sentenza n. 250 del 2009).
La delibera della Giunta della Regione Lazio ha indicato l’art. 27, complessivamente considerato, quale oggetto di impugnazione, di tal chè la cernita delle specifiche previsioni da sottoporre al sindacato di questa Corte è stata posta in essere dalla difesa tecnica, senza alcuna previa direttiva, anche solo di massima, dell’organo politico. Infatti, l’art. 27 della legge n. 99 del 2009 consta di 47 commi, relativi a fattispecie che risultano estremamente diversificate tra loro quanto ad oggetto di disciplina. La mera presenza delle disposizioni censurate in un unico articolo della legge, genericamente intitolato «Misure per la sicurezza e il potenziamento del settore energetico», non è di per sé sufficiente a produrre il «necessario grado di determinatezza» dell’oggetto del giudizio di costituzionalità.
Alla luce della richiamata giurisprudenza di questa Corte, l’evidente assenza di omogeneità tra le disposizioni di cui si compone l’art. 27 determina la inammissibilità delle corrispondenti questioni di costituzionalità.
Opposta, invece, la conclusione per quanto concerne le censure aventi ad oggetto l’art. 25, anch’esso indicato nella delibera della Giunta del Lazio senza ulteriori specificazioni, dal momento che le varie disposizioni in cui si articola tale norma presentano un contenuto sostanzialmente omogeneo, attenendo tutte alla disciplina della “materia nucleare”.
9. – Inammissibili sono le questioni aventi ad oggetto il comma 2, lettere l) e q), dell’art. 25. Le censure mosse avverso tali disposizioni dalla sola Regione Lazio sono, infatti, del tutto generiche, in quanto non sorrette da alcuna argomentazione volta a chiarire le competenze regionali asseritamente lese.
10. – L’art. 25, comma 1, della legge impugnata è censurato dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt. 76 e 117, terzo comma, Cost., poiché non sarebbe consentito conferire delega legislativa in una materia oggetto di potestà legislativa concorrente, dal momento che le norme statali non possono assumere quel carattere dettagliato, che, a parere della ricorrente, avrebbero invece necessariamente le norme delegate, in riferimento ai princìpi e ai criteri direttivi adottati ai sensi dell’art. 76 Cost.
La questione non è fondata, come questa Corte ha già più volte affermato (sentenze n. 50 del 2005, n. 280 del 2004 e n. 359 del 1993), poiché la ricorrente erroneamente confonde il grado di determinatezza proprio dei princìpi e dei criteri direttivi della delega con quello, qualitativamente distinto e perciò non necessariamente coincidente, dei princìpi fondamentali di materia concorrente. Ciò consente, in linea di principio, l’impiego della delega legislativa anche nelle materie a potestà legislativa ripartita, come – d’altra parte – confermato dalla sua utilizzazione tutt’altro che infrequente anche in passato.
Le Regioni Lazio e Basilicata impugnano il medesimo art. 25, comma 1, in relazione agli artt. 117 e 118 Cost., e, quanto alla sola Basilicata, al principio di leale collaborazione, nella parte in cui vi si prevede, ai fini dell’esercizio della delega, l’acquisizione del mero parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato – città ed autonomie locali), posto che si tratterebbe di forma inadeguata di coinvolgimento del sistema regionale.
La questione non è fondata, poiché, come ripetutamente affermato da questa Corte, «le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione», il che nella specie non si verifica (sentenza n. 437 del 2001; da ultimo, sentenza n. 225 del 2009).
11. – Appare opportuno affrontare, in primo luogo, le censure attinenti alla “materia nucleare”, ovvero all’art. 25, comma 2, lettere a), f), g) e h) e all’art. 26, comma 1, della legge impugnata.
L’art. 25 reca, in particolare, delega al Governo, ai fini dell’adozione di «uno o più decreti legislativi di riassetto normativo recanti la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate».
Questa delega è stata esercitata con il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), numerose disposizioni del quale sono state oggetto di separati ricorsi, innanzi a questa Corte, da parte delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Puglia.
L’oggetto dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale resta peraltro circoscritto alle sole disposizioni recate dalla legge n. 99 del 2009, giacché nel caso di specie la sopravvenuta normativa delegata non sarebbe, neppure in linea teorica, idonea a superare un eventuale vizio di costituzionalità che dovesse inficiare le norme di delega: se queste ultime consentono di attuare la delega in senso conforme a Costituzione, con ogni evidenza il vizio non sussiste, poiché ogni dubbio in proposito può e deve essere superato attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della legge di delega; se, viceversa, la delega non rende in alcun modo praticabile una soluzione normativa costituzionalmente legittima, anche l’eventuale esercizio di essa in forma compatibile con il dettato costituzionale sarebbe contrario all’art. 76 Cost. e certamente non farebbe venir meno l’originario vizio in cui fosse incorso il delegante.
È per tale ragione ben possibile procedere alla decisione dei ricorsi proposti avverso la legge di delega, senza disporre che essi siano riuniti alle successive impugnative dirette contro il decreto delegato, come invece richiesto dall’Avvocatura dello Stato nell’immediata vigilia dell’udienza pubblica.
11.1. – Tali considerazioni tornano altresì utili, ai fini di vagliare la preliminare eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, con riguardo alle censure relative alle norme di delega che sono state impugnate: a parere dell’Avvocatura, tali disposizioni non sarebbero «immediatamente lesive di alcuna prerogativa regionale», poiché eventuali lacune, in sé pregiudizievoli della posizione costituzionale delle Regioni, ben potrebbero venire colmate in sede di esercizio della delega.
Questa Corte, fin dalla sentenza n. 224 del 1990, ha affermato che, in linea di princìpio, la legge di delega, in quanto atto avente forza di legge, soggiace, ai sensi dell’art. 134 Cost., al controllo di costituzionalità in via principale, di cui, in particolare, può divenire oggetto, quando sia idonea a «concretare una lesione attuale dell’autonomia regionale» (sentenze n. 503 del 2000 e n. 359 del 1993).
L’attenzione della Corte deve perciò cadere, in tali casi, non già sulla natura dell’atto impugnato, di per sé inequivocabilmente capace di integrare l’ordinamento giuridico con norme primarie, ma sulla ricorrenza dell’interesse regionale ad impugnarlo: di tale interesse andrà esclusa la sussistenza, in particolare, ogni volta che il legislatore delegante abbia determinato princìpi e criteri direttivi tali da consentire al Governo l’esercizio della funzione legislativa in modo conforme a Costituzione.
Va, inoltre, aggiunto che anche la legge di delega soggiace al fondamentale canone dell’interpretazione costituzionalmente conforme (sentenza n. 292 del 2000), la cui osservanza si impone allo stesso Governo, sicché a radicare l’interesse regionale al ricorso non sarà sufficiente che essa si presti ad una lettura lesiva dell’autonomia regionale, ma occorrerà che tale lettura sia l’unica possibile, pur impegnando ogni strumento interpretativo utile.
A maggior ragione, non determinano illegittimità costituzionale della delega eventuali omissioni, da parte del legislatore delegante, nella configurazione dei princìpi e dei criteri direttivi, pur in sé suscettibili di evolvere in un vulnus costituzionale, ove le carenze di idonei riferimenti ai princìpi costituzionali non siano colmate dalla successiva attività di “coerente sviluppo e, se del caso, di completamento” (ex plurimis, sentenza n. 98 del 2008) che compete al Governo, ai sensi dell’art. 76 Cost.: infatti, questa Corte ha già ritenuto «indubitabile che il legislatore delegato, anche nel silenzio della legge di delega, sia tenuto comunque alla osservanza dei precetti costituzionali, indipendentemente, dunque, da ogni richiamo che di essi faccia la norma delegante» (sentenza n. 401 del 2007, punto 5.3 del Considerato in diritto).
Ne segue che l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato non può venire ora decisa in via generale, ma richiede, invece, l’esame del contenuto di ciascuna disposizione della legge di delega impugnata, al fine di determinare se essa abbia, oppure no, realizzato una lesione attuale e diretta delle competenze regionali, secondo i criteri di verifica appena enunciati.
12. – Nei giudizi in via di azione promossi dalle Regioni l’oggetto del contendere verte sulla individuazione del titolo di competenza cui ascrivere le disposizioni legislative statali censurate, nei limiti dei motivi di ricorso. A tale scopo, è necessario avere riguardo al «nucleo essenziale» delle norme (da ultimo, sentenze n. 52 del 2010 e n. 339 del 2009) da cui si muove per identificare il fascio di interessi che viene inciso dall’intervento legislativo. Questa Corte ha avuto occasione di chiarire che nel nuovo titolo V della Parte seconda della Costituzione non sussiste più «l’equazione elementare interesse nazionale – competenza statale» e che quindi di per sé «l’interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità né di merito, alla competenza legislativa regionale» (sentenza n. 303 del 2003, punto 2.2 del Considerato in diritto). Ne segue che il riconoscimento del primato di questi interessi si può affermare solo per mezzo dell’esercizio degli specifici poteri legislativi statali, che siano assegnati dalle norme costituzionali attributive di competenze, di tipo sia concorrente, sia esclusivo, secondo il significato che esse hanno nel comune linguaggio legislativo e nel vigente ordinamento giuridico.
È, peraltro, noto che la complessità dei fenomeni sociali su cui i legislatori intervengono si esprime, di regola, in una fitta trama di relazioni, nella quale ben difficilmente sarà possibile isolare un singolo interesse: è, piuttosto, la regola opposta che si ha modo di rinvenire nella concreta dinamica normativa, ovvero la confluenza nelle leggi o nelle loro singole disposizioni di interessi distinti, che ben possono ripartirsi diversamente lungo l’asse delle competenze normative di Stato e Regioni.
In tali casi, questa Corte non si può esimere dal valutare, anzitutto, se una materia si imponga alle altre con carattere di prevalenza (sentenze n. 50 del 2005 e n. 370 del 2003), ove si tenga presente che, per mezzo di una simile espressione, si riassume sinteticamente il proprium del giudizio, ovvero l’individuazione della competenza di cui la disposizione è manifestazione.
Quando non sia possibile concludere nel senso appena indicato, si verifica un’ipotesi di «concorrenza di competenze» (sentenza n. 50 del 2005), la quale esige di adottare il «canone della leale collaborazione, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» (sentenze n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005).
Su di un livello distinto da quest’ultimo, invece, si colloca lo strumento della chiamata in sussidiarietà, cui lo Stato può ricorrere al fine di allocare e disciplinare una funzione amministrativa (sentenza n. 303 del 2003) pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale: questa Corte ha affermato a tal proposito che «perché nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa innanzi tutto rispetti i princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. È necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Quindi, con riferimento a quest’ultimo profilo, nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – la legislazione statale di questo tipo può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 6 del 2004 punto 7 del Considerato in diritto).
Applicando tali princìpi al caso di specie, appare anzitutto evidente che le disposizioni impugnate incidono essenzialmente sugli interessi relativi alla materia concorrente della produzione dell’energia, poiché esprimono la scelta del legislatore statale di rilanciare l’importante forma di approvvigionamento energetico costituita dalla utilizzazione dell’energia nucleare e quindi di adottare nuovi princìpi fondamentali, adeguati alle evidenti specificità di questo settore. Non merita, invece, accoglimento, il rilievo, ampiamente svolto dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui le peculiarità proprie della fonte nucleare, anche con riguardo ai profili del «cambiamento climatico, della sicurezza dell’approvvigionamento e della competitività del sistema produttivo», imporrebbero di riconoscere in materia la confluenza di una serie di competenze legislative esclusive dello Stato, con la conseguente sottrazione della disciplina del settore alla materia della produzione dell’energia: infatti, una scelta del genere non solo non trova riscontro nell’art. 117, terzo comma, Cost., che non reca affatto tale distinzione, ma viene anche smentita dal significato assunto dall’espressione “energia” nell’ambito della stessa legislazione ordinaria.
Fin dall’art. 1 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 (Istituzione dell’Ente nazionale per la energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche), infatti, il legislatore ha disciplinato le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica «da qualsiasi fonte prodotta», in tal modo evidenziando che l’origine nucleare non valeva a mutarne il comune genus energetico. Si è, certamente, fatto ricorso ad una disciplina speciale che rispondesse alle particolari esigenze di protezione dell’ambiente e della salute implicate dalla scelta nucleare, segnatamente dapprima con la legge 31 dicembre 1962, n. 1860 (Impiego pacifico dell’energia nucleare) e poi con la legge 2 agosto 1975, n. 393 (Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull’impiego di energia elettrica), ma sempre partendo dal presupposto, reso evidente dal titolo stesso degli interventi normativi appena citati, di legiferare in materia di “energia”. Più recentemente, l’art. 28 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) ha stabilito che «le funzioni amministrative relative alla materia “energia” concernono le attività di ricerca, produzione, trasporto e distribuzione di qualunque forma di energia», mentre, sul piano dell’organizzazione amministrativa, il decreto legislativo 3 settembre 2003, n. 257 (Riordino della disciplina dell’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente – Enea, a norma dell’articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137) ha attribuito all’ormai soppresso Enea, Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente, compiti attinenti allo stesso settore nucleare, in quanto normativamente riconducibile al campo delle politiche energetiche.
Un tale assetto normativo ha consentito, infine, a questa Corte di affermare che «l’espressione utilizzata nel terzo comma dell’art. 117 Cost. deve ritenersi corrispondente alla nozione di “settore energetico” di cui alla legge n. 239 del 2004, così come alla nozione di “politica energetica nazionale” utilizzata dal legislatore statale nell’art. 29 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che era esplicitamente comprensiva di “qualunque forma di energia”» (sentenza n. 383 del 2005, punto 13 del Considerato in diritto).
Da ultimo, si è ribadita tale conclusione con riferimento all’art. 7 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 che, nel definire la strategia energetica nazionale, vi ha significativamente incluso la «realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare»: anche in tal caso, questa Corte ha ascritto la disposizione al “settore energetico”, vale a dire alla competenza concorrente in materia di energia (sentenza n. 339 del 2009).
Né, infine, può omettersi che il comma 1 dell’art. 25 della legge n. 99 del 2009 si riferisce ad «impianti di produzione di energia elettrica nucleare» e che nel titolo del d.lgs. n. 31 del 2010, il legislatore delegato si esprime analogamente.
Non vi è dubbio, nel contempo, che, in linea generale, un organico intervento normativo di disciplina del processo di produzione dell’“energia elettrica nucleare” solleciti, unitamente a quelli energetici, ulteriori interessi, in parte imputabili a titoli di competenza concorrente ed, in parte significativa, anche a titoli di competenza esclusiva dello Stato.
Quanto al primo profilo è infatti consolidata giurisprudenza costituzionale che «tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività» costituisca «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenza n. 307 del 2003), mentre va rammentato che la «tutela della salute» è materia che può ricomprendere norme idonee a preservare con carattere di uniformità un bene «che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate» (sentenza n. 361 del 2003; in seguito, sentenza n. 63 del 2006).
Quanto al secondo profilo, emerge con particolare evidenza la competenza relativa alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., notoriamente soggetti al rischio di gravi alterazioni, al pari dell’integrità fisica dei consociati, ove si verifichino incidenti agli impianti, anche in ragione di errori nell’attività di pianificazione, installazione e gestione delle centrali nucleari. La rilevanza dell’interesse ambientale (così come dell’interesse relativo alla tutela della salute) è, del resto, agevolmente ricavabile, alla luce della normativa comunitaria ed internazionale concernente l’energia nucleare: si tratta, per ricordare i soli atti normativi più significativi, del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica-Euratom), della direttiva 25 giugno 2009, n. 2009/71/Euratom (Direttiva del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari), della legge 19 gennaio 1998, n. 10 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla sicurezza nucleare, fatta a Vienna il 20 settembre 1994).
Va subito chiarito che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Avvocatura dello Stato, tale normativa non pregiudica la discrezionalità dello Stato italiano nello «stabilire il proprio mix energetico in base alle politiche nazionali in materia» (punto 9 del Considerando della direttiva n. 2009/71/Euratom). Essa invece, per quanto qui interessa, impone, solo una volta che il legislatore nazionale abbia optato per l’energia atomica, nella misura ritenuta opportuna, misure e standard di garanzia «per la protezione della popolazione e dell’ambiente contro i rischi di contaminazione» (punto 5 dell’appena citato Considerando). Nello stesso senso, l’art. 17 della Convenzione sulla sicurezza nucleare di Vienna, resa esecutiva con la già menzionata legge n. 10 del 1998, ed alla quale ha aderito la stessa Comunità europea dell’energia atomica, esige, in punto di localizzazione degli impianti, la valutazione del «probabile impatto che un impianto nucleare previsto potrebbe avere dal punto di vista della sicurezza degli individui, sulla società e sull’ambiente» e perciò, secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia nella sentenza relativa alla causa 29/1999 del 10 dicembre 2002, «comprende necessariamente la presa in considerazione di fattori relativi alla radioprotezione, come le caratteristiche demografiche del sito».
Va detto, tuttavia, che le ricorrenti non hanno censurato l’art. 25, comma 2, lettera b), della legge impugnata, al quale è affidata la delega in punto di «definizione di elevati livelli di sicurezza dei siti, che soddisfino le esigenze di tutela della salute della popolazione e dell’ambiente», sicché è con precipuo riferimento a siffatta disposizione, estranea all’oggetto del contendere, che il legislatore delegato avrà titolo per introdurre gli adeguati livelli di garanzia, anche con riferimento alle scelte di localizzazione ed ai criteri di insediamento degli impianti.
Sulla base di tali rilievi, si può concludere che l’art. 25, comma 2, lettere g) e h), nella parte in cui disciplina la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare; l’art. 25, comma 2, lettera f), nella parte in cui appronta garanzie di tipo sostitutivo, per superare il mancato raggiungimento delle necessarie intese con gli enti locali coinvolti nel procedimento di autorizzazione unica; ed infine l’art. 26, comma 1, nella parte in cui reca criteri per la definizione delle tipologie degli impianti di produzione, siano disposizioni attribuibili, con carattere di prevalenza, alla materia della produzione dell’energia, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., giacché con esse il legislatore ha concretizzato normativamente l’intento non solo di riavviare l’approvvigionamento energetico da fonte nucleare, ma al contempo di favorirne un rapido sviluppo, attraverso le tappe che conducono alla autorizzazione unica, da rilasciare su istanza del soggetto richiedente.
Diversamente si deve ritenere, con riferimento all’art. 25, comma 2, lettere g) e h), nella parte in cui disciplina la costruzione e l’esercizio di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita: in tale settore, cessata la preponderanza degli interessi connessi alla produzione dell’energia, si pone la necessità, dai primi distinta, di assicurare un idoneo trattamento delle scorie radioattive. Questa Corte ha già affermato, in tal caso, che «la competenza statale in tema di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è tale da offrire piena legittimazione ad un intervento legislativo volto a realizzare un impianto necessario per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi» (sentenza n. 62 del 2005, punto 15 del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 247 del 2006), purché, nel rispetto della convergente competenza concorrente in tema di governo del territorio, «siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi» (sentenza n. 62 del 2005, punto 16 del Considerato in diritto).
Anche l’art. 25, comma 2, lettera a), recante la previsione della possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione, eccede i limiti della materia energetica, per ricadere piuttosto nella sfera di competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., poiché, come si preciserà a breve, viene in tal caso in gioco la necessità di prevenire la commissione di reati, dagli effetti potenzialmente esiziali, in prossimità dell’area ove si produce l’energia elettrica nucleare o dove le scorie radioattive sono conservate.
Ciò detto, la riconduzione delle disposizioni impugnate ai predetti ambiti di competenza consente di escludere che abbiano rilievo in causa sia la potestà legislativa residuale regionale, genericamente invocata dalle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Liguria, e richiamata con riferimento al turismo dalle Regioni Toscana e Calabria, sia la potestà concorrente relativa alla protezione civile (Regione Lazio) e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali (Regioni Toscana e Calabria).
Parimenti prive di rilievo sono le competenze esclusive statali indicate dall’Avvocatura dello Stato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) e d), Cost. Come si è innanzi rimarcato, il diritto comunitario e le convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito, prescrivono, con riferimento alla fonte energetica nucleare e, per quanto qui interessa, talune condizioni minime di sicurezza, volte a proteggere la salute e l’ambiente, ma non interferiscono con l’assetto delle competenze costituzionali di Stato e Regioni, in ordine alle procedure specificamente disciplinate dalle norme impugnate (sentenze n. 398 del 2006, n. 336 del 2005 e n. 126 del 1996). Tanto meno se ne può ricavare, come parrebbe ritenere l’Avvocatura dello Stato, un obbligo di contenuto concernente l’an ed il quando del programma nazionale di produzione dell’energia atomica, posto che assume, semmai, rilievo, in tale prospettiva, il quomodo di un siffatto programma. Né si vede quale rapporto possa esservi tra la “sicurezza dello Stato”, ovvero l’area normativa che protegge sovranità, integrità ed indipendenza della Repubblica, e le procedure di installazione di impianti nucleari aventi finalità di approvvigionamento energetico.
Una volta inquadrate le disposizioni impugnate negli ambiti di competenza sopra indicati, diviene possibile procedere allo scrutinio delle specifiche censure mosse dalle ricorrenti.
13. – L’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge impugnata reca i seguenti princìpi e criteri direttivi:
«g) previsione che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita e tutte le opere connesse siano considerati attività di preminente interesse statale e, come tali, soggette ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza del soggetto richiedente e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti»;
«h) previsione che l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241; l’autorizzazione deve comprendere la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere, l’eventuale dichiarazione di inamovibilità e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi; l’autorizzazione unica sostituisce ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati, ad eccezione delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione ambientale strategica (VAS) cui si deve obbligatoriamente ottemperare, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire ed esercire le infrastrutture in conformità del progetto approvato».
La lettera g) è impugnata da tutte le ricorrenti, mentre la lettera h) è censurata dalle sole Regioni Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria.
La censura svolta da tutte le ricorrenti, in relazione agli artt. 117, terzo comma, Cost. (energia, governo del territorio), 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione consiste nel denunciare l’accentramento in capo allo Stato della funzione amministrativa relativa al rilascio della autorizzazione unica per mezzo di chiamata in sussidiarietà, in assenza della cosiddetta intesa forte con ciascuna Regione interessata. Non sarebbe sufficiente, infatti, né la prevista intesa con la Conferenza unificata, il cui intervento non potrebbe avere carattere surrogatorio rispetto a quello della singola Regione, né la partecipazione dell’amministrazione regionale al procedimento unico previsto dalla lettera h), posto che esso non attribuisce alla Regione la posizione differenziata che le spetterebbe in ordine alla scelta sulla localizzazione dell’impianto nell’ambito del proprio territorio. La Corte dovrebbe pertanto dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato disposto delle lettere g) e h), nella parte in cui non vi si prevede l’intesa forte con la Regione interessata.
Non viene, pertanto, posta in discussione né la scelta operata dal legislatore nazionale di rilancio della fonte nucleare, la quale esprime con ogni evidenza un princìpio fondamentale della produzione dell’energia, né la sussistenza delle condizioni che legittimano la chiamata in sussidiarietà, ma si contesta il difetto di un idoneo coinvolgimento regionale, conseguente a tale attrazione di competenza.
L’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, con riguardo al carattere prematuro dell’impugnativa regionale, è fondata.
Le ricorrenti muovono dalla erronea premessa, secondo cui le disposizioni impugnate, nel prevedere espressamente una duplice forma di partecipazione del sistema regionale all’esercizio della funzione amministrativa chiamata in sussidiarietà, con ciò imporrebbero di escluderne una terza ritenuta costituzionalmente necessaria, ovvero l’intesa con la Regione interessata, ai fini della localizzazione, nel dettaglio, del sito nucleare.
Tuttavia, il silenzio del legislatore delegante in proposito non ha, né può avere alla luce della doverosa interpretazione costituzionalmente conforme della delega, il significato impediente paventato dalle ricorrenti. È oramai princìpio acquisito nel rapporto tra legislazione statale e legislazione regionale che quest’ultima possa venire spogliata della propria capacità di disciplinare la funzione amministrativa attratta in sussidiarietà, a condizione che ciò si accompagni alla previsione di un’intesa in sede di esercizio della funzione, con cui poter recuperare un’adeguata autonomia, che l’ordinamento riserva non già al sistema regionale complessivamente inteso, quanto piuttosto alla specifica Regione che sia stata privata di un proprio potere (sentenze n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
Ciò ovviamente a prescindere dalla necessità di una puntuale disciplina legislativa delle modalità di esercizio dell’intesa e delle eventuali procedure per ulteriormente ricercarla in caso di diniego o comunque per supplire alla sua carenza, come anche questa Corte ha auspicato (sentenza n. 383 del 2005, n. 20 del Considerato in diritto).
Quindi, in queste situazioni il coinvolgimento delle Regioni interessate si impone con forza immediata e diretta al legislatore delegato, ove intenda esercitare la funzione legislativa. Certamente, il legislatore è poi libero, e talvolta anche obbligato costituzionalmente, nell’attività di ulteriore rafforzamento delle istanze partecipative del sistema regionale e degli enti locali, per la quale, quando l’interesse in gioco non sia accentrato esclusivamente in capo alla singola Regione, ben si presta l’intervento della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato – città ed autonomie locali. È per l’appunto in tale ultima direzione che devono leggersi sia la previsione recata dalla lettera g) impugnata, con riguardo all’intesa in sede di Conferenza unificata, sia la prevista partecipazione delle amministrazioni interessate, tra cui senza dubbio quella regionale, al procedimento unico di cui alla lettera h).
Ma, una volta chiarito in tal modo lo scopo perseguito dal legislatore delegante, in nessun caso esso si rivela incompatibile con la doverosa integrazione della delega, in punto di partecipazione della Regione interessata, per mezzo dell’intesa.
Pertanto, le questioni relative all’art. 25, comma 2, lettere g) e h), sono inammissibili.
14. – L’art. 25, comma 2, lettera f), della legge impugnata reca il seguente principio e criterio direttivo:
«determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi enti locali coinvolti, secondo quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione».
Tale disposizione è impugnata dalle Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Toscana e Lazio.
Le ricorrenti sviluppano analoghe censure: ove la disposizione si ritenga applicabile alle intese raggiunte con la Regione, sarebbe lesiva degli artt. 117, 118 e 120 Cost. e del principio di leale collaborazione (solo la Regione Lazio non richiama quest’ultimo parametro) la previsione di un potere sostitutivo del Governo atto a superare il mancato raggiungimento dell’intesa, non solo quando la Regione resti inerte, ma anche quando abbia espresso un motivato dissenso. Né l’adesione all’intesa potrebbe considerarsi atto «dovuto o necessario» ai sensi dell’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), che disciplina in termini generali l’esercizio del potere di cui all’art. 120, secondo comma, Cost. Tale ultima disposizione sarebbe altresì violata, poiché la legge di delega introdurrebbe un’ipotesi di potere sostitutivo ad essa non conforme.
Le sole Regioni Emilia-Romagna ed Umbria aggiungono che, se anche riferita ai soli enti locali, la norma sarebbe comunque lesiva delle prerogative regionali, poiché consentirebbe l’esercizio del potere sostitutivo allo Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione interessata, e per di più configurerebbe ipotesi di intese tra Stato ed enti locali, cui la Regione resterebbe estranea.
14.1. – L’Avvocatura dello Stato avanza tre eccezioni di inammissibilità, che non sono fondate.
Anzitutto, si contesta che le ricorrenti prospettino una questione astratta, giacché non sciolgono il dubbio interpretativo se la norma si applichi anche alle intese con la Regione, o alle sole intese con gli enti locali propriamente detti: tuttavia, è noto che nel giudizio principale possono porsi questioni cautelative ed ipotetiche, purché non implausibili (da ultimo, ordinanza n. 342 del 2009). Nel caso di specie, i dubbi interpretativi delle ricorrenti non vanno oltre i margini della plausibilità, poiché la sola intesa che la legge di delega espressamente prevede si raggiunge in sede di Conferenza unificata, ed attinge in tal modo il sistema regionale.
In secondo luogo, si eccepisce che le Regioni non potrebbero attivarsi, per difendere l’autonomia degli enti locali. Ora, a prescindere dal fatto che questa Corte ha affermato l’opposto, «in particolare in materia urbanistica e in tema di finanza regionale e locale» (sentenza n. 196 del 2004, punto 14 del Considerato in diritto; in seguito, sentenza n. 120 del 2008), la sintesi appena compiuta delle doglianze delle ricorrenti rende palese che esse si sono mosse a tutela non già dell’ente locale sostituito, ma esclusivamente delle proprie prerogative costituzionali.
Infine, viene riproposta l’eccezione di inammissibilità, concernente il carattere prematuro ed ipotetico delle doglianze. Essa, in tal caso, va disattesa, poiché, ove si ammettesse che la norma impugnata si applichi alle intese con le Regioni, la delega sarebbe già del tutto univoca circa l’introduzione di un potere sostitutivo ai sensi dell’art. 120 Cost., in caso di mancato raggiungimento dell’intesa, ciò che appunto costituisce l’oggetto della questione posta a questa Corte.
14.2. – Nel merito, la prima censura non è fondata, poiché si basa sull’erroneo presupposto interpretativo, per il quale la disposizione impugnata si applicherebbe alle intese con le Regioni: infatti, nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la Regione gode di una particolare posizione di autonomia, costituzionalmente protetta, che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicché si deve escludere che il legislatore delegato abbia potuto includere le Regioni nella espressione censurata (sentenza n. 20 del 2010).
14.3. – Quanto, poi, alla separata censura, mossa dalle sole Regioni Emilia-Romagna e Umbria, secondo cui illegittimamente la Regione sarebbe esclusa dall’esercizio del potere sostitutivo riferito ai soli enti locali che insistono sul territorio regionale, essa è inammissibile dal momento che – analogamente a quanto prima rilevato a proposito delle censure relative alle lettere g) ed h) dell’art. 25 – la sommarietà della delega legislativa sul punto non ha, né può avere, alla luce della doverosa interpretazione costituzionalmente conforme della delega, il significato di precludere l’introduzione di forme partecipative della Regione nell’esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo, fermo restando, altresì, che l’eventuale raggiungimento di un’intesa tra Stato ed enti locali, cui la Regione non abbia preso parte, in nessun modo potrebbe surrogarsi alle intese costituzionalmente dovute tra Stato e Regioni, così da ledere le prerogative di queste ultime.
14.4. – Pertanto, le questioni relative all’art. 25, comma 2, lettera f), nel primo caso non sono fondate e nel secondo sono inammissibili.
15. – L’art. 25, comma 2, lettera a), della legge impugnata reca il seguente princìpio e criterio direttivo:
«previsione della possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e protezione».
Tale disposizione è impugnata dalle Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria.
L’eccezione di inammissibilità delle censure, riproposta dall’Avvocatura dello Stato in ragione del preteso carattere ipotetico di esse, a prescindere dalla sua fondatezza, merita in tal caso di essere superata dall’assorbente rilievo relativo alla evidente infondatezza, per tale parte, dei ricorsi.
Va detto che le ricorrenti non condividono la medesima premessa interpretativa, in relazione alla disposizione impugnata. Infatti, le Regioni Toscana e Marche sostengono che essa costituirebbe il fondamento normativo della potestà statale di localizzare gli impianti nucleari, e si porrebbe perciò in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, disponendo una chiamata in sussidiarietà, in difetto di intesa con la Regione interessata.
Tale interpretazione dell’art. 25, comma 2, lettera a), della legge delega non ha fondamento.
Appare infatti chiaro, fin dal contenuto letterale della norma, che il legislatore delegato non ha inteso qui disciplinare la fase di individuazione del sito, della quale si è invece occupato formulando le lettere g) e h) della medesima disposizione, ma la sola eventualità che, a sito prescelto, esso possa acquisire il particolare status di area soggetta a vigilanza e protezione.
Le Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Liguria, pur non condividendo l’interpretazione cui sono pervenute le altre ricorrenti, stimano, tuttavia, che la norma impugnata si presterebbe a giustificare misure protettive eccedenti l’ambito della competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, per sconfinare sul terreno del governo del territorio. Ciò comporterebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione della mancata previsione che tali misure siano adottate, previa intesa con le Regioni o la Regione interessata, e che l’intesa si estenda fino alla selezione dell’area.
Questa Corte ritiene privo di fondamento anche tale ultimo presupposto interpretativo. Come si è già anticipato, non vi è dubbio che l’art. 117, secondo, comma, lettera h), Cost. giustifichi una disciplina statale finalizzata alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico (sentenze n. 383 del 2005 e n. 6 del 2004), con particolare riferimento ai siti ove viene trattata l’energia nucleare, ovvero dove sono depositati i rifiuti radioattivi, attesi i gravi rischi che notoriamente conseguono ad un indebito trattamento di tali fonti e di tali materiali. In un simile contesto, la disposizione impugnata rimette allo svolgimento normativo di spettanza del legislatore delegato la più puntuale determinazione del contenuto delle misure necessarie, le quali assumeranno forme corrispondenti alla ragione giustificatrice che si è appena evidenziata. Ove, invece, tali misure venissero a compromettere una sfera di competenza assegnata alle Regioni, non mancheranno a quest’ultime gli strumenti giurisdizionali per far valere le proprie prerogative, se del caso anche innanzi a questa Corte.
Quanto, poi, alla selezione dell’area di interesse strategico nazionale, una volta chiarito l’ambito applicativo della norma di delega, ed anche ammesso in via meramente ipotetica che essa sia più ampia della porzione di territorio ove l’impianto è collocato, deve ritenersi che la Regione non abbia titolo per concorrere all’esercizio di una funzione corrispondente ad un ambito di potestà esclusiva statale, che, nel rispetto dell’art. 118 Cost., sia stata allocata dalla legge nazionale presso organi centrali (sentenze n. 15 del 2010 e n. 88 del 2009).
Le questioni relative all’art. 25, comma 2, lettera a), della legge impugnata sono, per tali ragioni, non fondate.
16. – L’art. 26, comma 1, della legge impugnata stabilisce che «con delibera del CIPE, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Commissioni parlamentari competenti, sono definite le tipologie degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale. La Conferenza unificata si esprime entro sessanta giorni dalla richiesta, trascorsi i quali il parere si intende acquisito».
Tale disposizione è censurata dalle Regioni Marche, Basilicata, Lazio, Emilia-Romagna e Umbria.
Le Regioni ritengono che la norma attenga a materia oggetto di potestà legislativa ripartita, e, nello specifico, alla produzione dell’energia, secondo Emilia-Romagna, Umbria, Marche; al governo del territorio, secondo Emilia-Romagna, Lazio, Basilicata; alla tutela della salute, secondo Lazio e Basilicata: pertanto, ove essa prevedesse una potestà di tipo regolamentare, sarebbe violato l’art. 117, sesto comma, Cost., che riserva alle Regioni la potestà regolamentare in tali materie, come denunciano le Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Marche. Se invece si trattasse di una funzione amministrativa chiamata in sussidiarietà, la norma sarebbe illegittima, con riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., ed al principio di leale collaborazione, nella parte in cui prevede il parere, anziché l’intesa, con la Conferenza unificata, come paventato dalle Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lazio e Basilicata, e nella parte in cui non prevede, altresì, l’intesa con ciascuna Regione interessata con riguardo alla scelta della «tipologia dello specifico impianto in uno specifico luogo», come aggiungono Emilia-Romagna ed Umbria.
In via preliminare, va dichiarata non fondata l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, relativa alla circostanza per cui talune ricorrenti prospettano due interpretazioni alternative della norma impugnata, stante la già rammentata ammissibilità di questioni interpretative, purché non prive di plausibilità, nel giudizio principale: nel nostro caso, il dubbio concernente la natura del potere attribuito al CIPE, che il legislatore delegante non risolve espressamente, rientra entro i limiti di tolleranza appena enunciati.
Esso, peraltro, va sciolto nel senso di escludere che la norma impugnata abbia conferito al CIPE una potestà regolamentare. Attesa la ripartizione operata dall’art. 117 Cost. di tale potestà tra Stato e Regioni, secondo un criterio obiettivo di corrispondenza delle norme prodotte alle materie ivi indicate, non possono essere requisiti di carattere formale, quali il nomen iuris e la difformità procedimentale rispetto ai modelli di regolamento disciplinati in via generale dall’ordinamento, a determinare di per sè l’esclusione dell’atto dalla tipologia regolamentare, giacché, in tal caso, sarebbe agevole eludere la suddivisione costituzionale delle competenze, introducendo nel tessuto ordinamentale norme secondarie, surrettiziamente rivestite di altra forma, laddove ciò non sarebbe consentito. Nel caso di specie, tuttavia, la potestà affidata al CIPE non comporta la produzione di norme generali ed astratte, con cui si disciplinino i rapporti giuridici, conformi alla previsione normativa, che possano sorgere nel corso del tempo. Essa, invece, esprime una scelta di carattere essenzialmente tecnico, con cui l’amministrazione persegue la cura degli interessi pubblici a essa affidati dalla legge, individuando le tipologie di impianti idonee, in concreto e con un atto, la cui sfera di efficacia si esaurisce e si consuma entro i limiti, obiettivi e temporali, della scelta stessa.
Si è pertanto in presenza dell’esercizio di una funzione amministrativa, rispetto al quale non è conferente l’art. 117, sesto comma, Cost. Viene invece in rilievo, come anticipato, l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla competenza concorrente in materia di energia: la legge delega, in ragione di un interesse all’esercizio unitario della funzione che nessuna delle ricorrenti ha reso oggetto di censura, ne ha disposto la attrazione in sussidiarietà, limitandosi, tuttavia, a prevedere il parere della Conferenza unificata, anziché l’intesa.
Il primo profilo da porre in evidenza, a tal proposito, concerne l’estraneità del contenuto precettivo della norma rispetto alla fase di realizzazione del singolo impianto, che trova la propria disciplina, invece, nelle lettere g) e h) dell’art. 25, comma 2, della legge impugnata. Sarà dunque in quest’ultima sede che dovranno trovare soddisfazione le esigenze partecipative di ciascuna Regione interessata, secondo quanto già precisato. Le Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in altri termini, attribuiscono alla disposizione impugnata un’applicazione più ampia di quanto essa non abbia. L’art. 26, comma 1, infatti, disciplina la sola fase preliminare di selezione, in linea astratta, delle tipologie di impianti realizzabili dai soggetti richiedenti, mentre tace con riguardo alla scelta dello specifico impianto da realizzare in concreto, sia pure sulla base della delibera del CIPE. Quest’ultima opzione rientra a tutti gli effetti, come si è detto, nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica retto dall’art. 25, comma 2, lettera g) e h), in relazione alla «istanza del soggetto richiedente», e per tale via si offre alla codeterminazione dell’atto da parte della Regione interessata, una volta che il legislatore delegato abbia provveduto ad introdurre la relativa intesa.
Ciò detto, resta da ponderare l’adeguatezza dello strumento partecipativo prescelto dalla legge delega, ovvero del parere, anziché dell’intesa con la Conferenza unificata.
In linea di principio, è affermazione di questa Corte che la chiamata in sussidiarietà possa «superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 303 del 2003, punto 2.2 del Considerato in diritto).
Tale principio è destinato ad operare senza eccezione alcuna laddove l’attrazione in sussidiarietà della funzione, accompagnandosi all’attribuzione alla legge nazionale della potestà di disciplinare fattispecie altrimenti di competenza regionale, implica un’alterazione dell’ordinario rapporto tra processo di integrazione politica affidato allo Stato e processo di integrazione politica proprio del sistema regionale, con l’effetto che il nucleo fondante di una decisione espressiva di discrezionalità legislativa si trova collocato interamente entro la prima sfera, e viene sottratto alla seconda. In presenza di un tale effetto, ed al fine di assicurare l’emersione degli interessi intestati dalla Costituzione all’autonomia regionale, la legge statale deve garantire la riespansione delle capacità decisionali della Regione interessata, per mezzo di una paritaria codeterminazione dell’atto, non superabile per mezzo di una iniziativa unilaterale di una delle parti (sentenza n. 383 del 2005).
Altro discorso va invece svolto con riguardo al caso, che ricorre con riferimento alla disposizione impugnata, in cui la legge statale, in materia di competenza concorrente, attribuisce la funzione amministrativa, di cui va assicurato l’esercizio unitario ai sensi dell’art. 118 Cost., ad un organo centrale, laddove essa sia caratterizzata da una natura eminentemente tecnica, che esige, in quanto tale, scelte improntate all’osservanza di standard e metodologie desunte dalle scienze. Per tale evenienza, questa Corte ha già affermato che «il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni può limitarsi all’espressione di un parere obbligatorio» (sentenza n. 285 del 2005, punto 9 del Considerato in diritto).
L’art. 26, comma 1, risponde appunto alla necessità che la selezione delle tipologie ammissibili di impianti nucleari sia governata secondo criteri tecnici di efficacia e sicurezza, affinché la successiva individuazione della struttura compatibile con simile preliminare scrematura sia svolta (nel corso della fase di concreta allocazione di essa, cui dovrà partecipare ciascuna Regione interessata), sulla base di tale comune, e necessaria garanzia. Tale disposizione, così interpretata, si sottrae per tali motivi alle censure mosse, sicché le questioni relative all’art. 26, comma 1, della legge impugnata vanno dichiarate non fondate.
17. – Esaurita la trattazione delle censure concernenti il settore dell’energia nucleare, possono esaminarsi le doglianze relative all’art. 27, comma 27, della legge impugnata. Tale disposizione stabilisce che «agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati con carbon fossile di nuova generazione, se allocati in impianti industriali dismessi, nonché agli impianti di produzione di energia elettrica a carbon fossile, qualora sia stato richiesto un aumento della capacità produttiva, si applicano, alle condizioni ivi previste, le disposizioni di cui all’articolo 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33». A propria volta, l’art. 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, a suo tempo non impugnato in via principale, prevede che «per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Le Regioni Piemonte, Umbria e Liguria ritengono che la disposizione impugnata leda l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alle materie dell’energia, del governo del territorio e, quanto alle sole Umbria e Liguria, della tutela della salute. Essa, infatti, costituirebbe norma dettagliata, tale da impedire qualsivoglia sviluppo ulteriore da parte del legislatore regionale.
Le Regioni Umbria e Liguria aggiungono che, derogando ad ogni limite di localizzazione, si produrrebbe l’effetto di vanificare il procedimento di intesa previsto dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, al fine della costruzione e dell’esercizio degli impianti energetici indicati dal comma 1 della medesima disposizione, poiché la Regione non avrebbe più titolo per farvi valere «quei valori di ordine territoriale, di tutela della salute, ambientali, turistici, ecc.», ai quali è preordinata la legislazione. Si tratta di una censura niente affatto «ipotetica», come invece ritiene l’Avvocatura dello Stato, giacché paventa in modo univoco la spoliazione del potere regionale di interloquire in sede di intesa con l’Amministrazione statale, in ragione della deroga alla normativa urbanistica regionale.
17.1. – La questione non è fondata, per le considerazioni che seguono.
La disposizione impugnata, al fine di contenere, per quanto possibile, l’emissione nell’ambiente di sostanze inquinanti, appresta una disciplina di favore con riguardo all’insediamento sul territorio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati con carbon fossile, prevedendo che, alla condizione di limitare, nella misura indicata dall’art. 5-bis del decreto-legge n. 5 del 2009, il pregiudizio ambientale connesso a tale fonte di energia, vi si possa procedere «in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale».
Sul piano delle competenze, la finalità di contenimento del pregiudizio ambientale, comunque correlato agli impianti da carbon fossile, si innesta su una previsione diretta ad incidere su interessi attribuibili alle materie concorrenti della produzione di energia e del governo del territorio: si è, infatti, compiuta una scelta di promozione di una particolare fonte energetica, per mezzo di uno strumento, la deroga ai limiti legislativi di localizzazione, che chiaramente fa leva sull’assetto urbanistico del territorio.
A concludere per la natura dettagliata della norma, tuttavia, non aiuta il carattere derogatorio che essa riveste, poiché, in linea generale, è ben possibile attribuire alla potestà legislativa statale in materia concorrente l’introduzione di un regime di esenzione, rispetto all’osservanza dei princìpi a partire dai quali si origina la normativa di dettaglio: la deroga al principio, in altri termini, può esprimere una scelta di sistema, a sua volta ascrivibile a principio fondamentale della materia.
Nel caso di specie, viene in rilievo la deroga relativa ai limiti di localizzazione territoriale vigenti nella sola legislazione regionale, giacché non vi è un interesse delle ricorrenti a contestare la scelta del legislatore statale di superare, altresì, i medesimi limiti, se evincibili dalla legislazione nazionale.
Su questo piano, si trovano a dover essere conciliate, sulla base delle disposizioni costituzionali relative alla competenza legislativa, da un lato l’esigenza di conferire attuazione alla decisione, propria del legislatore statale, di promuovere un’opzione energetica, aprendo ad essa, quale principio fondamentale della materia, l’intero territorio; dall’altro, le prerogative, proprie dell’ autonomia regionale, di governare lo sviluppo urbanistico.
Le une e le altre godono di pari dignità costituzionale, cosicché la compressione di un interesse a vantaggio di un altro andrà apprezzata su di un piano di necessaria proporzionalità, nel senso che il legislatore statale potrà espandere la propria normativa non oltre il punto in cui essa si renda strettamente servente rispetto alla finalità perseguita, preservando, oltre tale linea, la potestà regionale di sviluppare con la propria legislazione i princìpi fondamentali in tal modo tracciati. È necessario, in altri termini, che le competenze in gioco non assumano «carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati» (sentenza n. 383 del 2005, punto 12 del Considerato in diritto).
In tale prospettiva, non è certamente nuovo il problema che viene oggi posto a questa Corte, la quale si è trovata in più occasioni a valutare il rapporto tra fonte statale e fonte regionale, in punto di equilibrio tra l’obiettivo di sviluppo di una rete di impianti perseguito dalla prima e l’aspirazione della seconda a imporre, in proposito, criteri di localizzazione.
Fin dalla sentenza n. 307 del 2003, si è posto in luce che, «quanto alle discipline localizzative e territoriali, è logico che riprenda pieno vigore l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi», mentre la sentenza n. 331 del 2003 ha aggiunto, pur con riferimento alle disposizioni recate dalla legge cornice in tema di protezione dalla esposizione a campi elettromagnetici, che la legge regionale, mentre non può introdurre «limitazioni alla localizzazione», ben può somministrare «criteri di localizzazione», quand’anche formulati «in negativo», ovvero per mezzo della delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, e purché ciò non determini l’impossibilità di una localizzazione alternativa.
È in questo stesso senso che si sono espresse sia la sentenza n. 103 del 2006, sia la sentenza n. 303 del 2007. Infine, la stessa localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti, una volta assicurata l’osservanza delle «soglie inderogabili di protezione ambientale» proprie della legislazione statale, è stata ascritta alla competenza legislativa regionale (sentenza n. 314 del 2009).
Il cuore delle argomentazioni della giurisprudenza costituzionale sul punto controverso va, perciò, individuato nel principio per il quale, in linea generale, è precluso alla legge regionale ostacolare gli obiettivi di insediamento sottesi ad interessi ascrivibili alla sfera di competenza legislativa statale, mentre, nello stesso tempo, lo Stato è tenuto a preservare uno spazio alle scelte normative di pertinenza regionale, che può essere negato solo nel caso in cui esse generino l’impossibilità, o comunque l’estrema ed oggettiva difficoltà, a conseguire il predetto obiettivo, caso in cui la norma statale si atteggia, nelle materie concorrenti, a principio fondamentale, proprio per la parte in cui detta le condizioni ed i requisiti necessari allo scopo.
La disposizione impugnata può e deve essere interpretata restrittivamente, in senso conforme a tale principio.
Con essa il legislatore statale, anziché indicare criteri di localizzazione favorevoli alla realizzazione degli impianti in questione, si è spinto fino all’adozione di una generale clausola derogatoria della legislazione regionale, per quanto in un settore ove non emerge la necessità di costruire una rete di impianti collegati gli uni agli altri, e dunque in assenza di un imperativo di carattere tecnico che imponesse un’incondizionata subordinazione dell’interesse urbanistico ad esigenze di funzionalità della rete. Tale tecnica legislativa, proprio in ragione per un verso dell’ampiezza e per altro verso della indeterminatezza dell’intervento operato (con esso, infatti, si deroga indiscriminatamente all’intera legislazione regionale indicata), necessita di venire ricondotta a proporzionalità in via interpretativa, ciò che la formulazione letterale della norma consente.
Va osservato, infatti, che la disposizione impugnata ha per oggetto le leggi regionali «che prevedono limiti di localizzazione territoriale». Questa Corte ritiene che tale espressione linguistica sia stata impiegata dal legislatore esattamente nell’accezione che, sia pure con riferimento ad un caso peculiare, già si è visto ricorrere nella sentenza n. 331 del 2003, per distinguerla dall’ipotesi dei consentiti «criteri di localizzazione», ovvero per il caso in cui la legge regionale determini, qui con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un divieto di localizzazione tale da determinare l’impossibilità dell’insediamento e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa.
Non vengono coinvolte dalla deroga, pertanto, né la generale normativa regionale di carattere urbanistico, che non abbia ad oggetto gli impianti in questione, o che comunque non si prefigga di impedirne la realizzazione, né tantomeno le discipline regionali attinenti alle materie di competenza legislativa residuale o concorrente, che siano estranee al governo del territorio.
Così interpretato, l’art. 27, comma 27, della legge impugnata si sottrae a censura, anche con riferimento al contenuto dell’intesa prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 7 del 2002: va da sé, infatti, che in questa sede la Regione non potrà opporre allo Stato le sole ragioni impeditive desumibili dalla normativa oggetto di deroga, mentre le sarà consentito far valere, sotto ogni altro aspetto, le proprie prerogative.
18. – La Regione Toscana e la Regione Lazio hanno impugnato l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, il quale stabilisce che «al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico-ricettive all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici».
La Regione Toscana lamenta che tale disposizione sia in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto inciderebbe illegittimamente sulle competenze regionali in materia di governo del territorio, escludendo a priori che i mezzi mobili di pernottamento costituiscano attività rilevante dal punto di vista urbanistico, edilizio e paesaggistico, e consentendone dunque la libera realizzazione.
Inoltre, riconoscendo la possibilità che i mezzi in questione siano collocati permanentemente senza la necessità di alcun titolo abilitativo, ad avviso della ricorrente la disposizione impugnata vanificherebbe l’art. 78 della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), che, con disposizione del tutto analoga a quella statale contenuta nell’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. – Testo A), assoggetta a permesso di costruire le strutture mobili (quali prefabbricati, roulottes, campers, ecc.) che siano utilizzate come abitazioni, depositi, ambienti di lavoro e che non siano destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee.
Anche la Regione Lazio lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. dal momento che l’art. 3, comma 9, trascenderebbe l’ambito di intervento della fonte statale in materia di governo del territorio, circoscritto alla fissazione dei princìpi fondamentali. La disposizione impugnata detterebbe, infatti, una disciplina analitica e puntuale, precludendo al legislatore regionale la possibilità di operare differenti valutazioni in ordine alla rilevanza ai fini urbanistici ed edilizi degli interventi in questione.
Ad avviso della Regione Lazio sarebbe, altresì, violato l’art. 117, quarto comma, Cost. Infatti, poiché l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009 si propone l’obiettivo di migliorare l’offerta dei servizi turistici, esso inciderebbe nella materia del turismo riservata alla competenza residuale delle Regioni.
18.1. – Preliminarmente si osserva che, in quanto dettata per la suddetta finalità di miglioramento dell’offerta turistica ed in quanto concernente talune strutture turistico- ricettive, la norma in esame certamente interseca la materia del turismo. Tuttavia, poiché l’oggetto principale, il suo «nucleo essenziale» – secondo il consolidato criterio elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti, si vedano le sentenze n. 52 del 2010 e n. 339 del 2009) – è costituito dalla disciplina urbanistico-edilizia relativa alla installazione di mezzi mobili di pernottamento, essa deve essere ricondotta alla materia del governo del territorio di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.
18.2. – Ciò posto, la questione prospettata in relazione a tale ultimo parametro è fondata.
La realizzazione di strutture mobili è espressamente disciplinata dal legislatore statale, che, all’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, qualificando come «interventi di nuova costruzione» gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, specifica, al punto e.5), che comunque devono considerarsi tali «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee». La realizzazione di tali interventi è subordinata al conseguimento di specifico titolo abilitativo costituito dal permesso di costruire (salve le ipotesi in cui è prevista la denuncia inizio attività; confronta artt. 10 e 22).
In sostanza, la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario.
Il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso.
Tale principio è stato ribadito da molti legislatori regionali (in particolare si vedano, in tal senso, la legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, recante «Norme per il governo del territorio», art. 78 e la legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 recante «Legge per il governo del territorio», art. 27, comma 1, lettera e5).
Il comma 9 dell’art. 3 in questione detta una disciplina concernente un ambito specifico, in quanto si riferisce esclusivamente alle «strutture turistico-ricettive all’aperto» (campeggi, villaggi turistici – secondo la individuazione fatta dalle varie leggi regionali).
Inoltre, tale disposizione ha ad oggetto unicamente la installazione di mezzi mobili di pernottamento e dei relativi rimessaggi (il riferimento è a campers, roulottes, case mobili, ecc.).
In queste ipotesi la disposizione impugnata esclude la rilevanza di tali attività a fini urbanistici ed edilizi (oltre che paesaggistici), e, conseguentemente, la necessità di conseguire apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, sulla base del mero dato oggettivo, cioè della precarietà del manufatto, dovendo trattarsi di «mezzi mobili» secondo quanto stabilito dagli ordinamenti regionali.
Tale elemento strutturale è considerato a priori di per sé sufficiente, ed anzi è espressamente esclusa la rilevanza del dato temporale e funzionale dell’opera, in quanto si prevede esplicitamente che possa trattarsi anche di opere permanenti, sia pure connesse all’esercizio dell’attività turistico-ricettiva.
Risulta pertanto evidente che l’intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di dettaglio, in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti.
Se, come più volte chiarito da questa Corte, alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi (ex plurimis: sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009 e n. 401 del 2007), l’art. 3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve in una normativa dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio al legislatore regionale.
Essa, pertanto, oltrepassa i confini delle competenze che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. spettano al legislatore statale in materia di governo del territorio.
In conclusione, l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009 deve essere dichiarato illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili gli interventi dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), del Codacons, Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, dell’ Enel s.p.a. e della Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 9, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia);
dichiara inammissibile il ricorso indicato in epigrafe proposto dalla Regione Molise avverso gli artt. 25, comma 2, lettera g), e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009, in riferimento agli artt. 117, terzo comma e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera f), della legge n. 99 del 2009, promossa dalla Regione Marche in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Umbria, Liguria, Emilia-Romagna e Puglia in riferimento all’art. 117, secondo comma, della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalle Regioni Puglia e Calabria, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera h), della legge n. 99 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera h), della legge n. 99 del 2009 promossa, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Lazio, Toscana, Umbria, Liguria, Emilia-Romagna, Marche, Puglia, Basilicata, Calabria, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera h), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Calabria, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettere l) e q), della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 14, 24, lettere c) e d), 28, 31 e 34 della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Lazio e Basilicata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione quanto alla sola Regione Basilicata, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promossa dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt. 76 e 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera a), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Liguria, Marche, Toscana, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili nella parte di cui al punto 14.3 del Considerato in diritto, e non fondate, nella parte di cui al punto 14.2 del Considerato in diritto, le questioni di legittimità costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera f), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Umbria e Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera f), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Lazio, Toscana e Marche, in riferimento agli artt. 117, 118, 120 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Lazio, Umbria, Emilia-Romagna, Marche e Basilicata, in riferimento agli artt. 117, terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009 promossa dalle Regioni Umbria, Liguria e Piemonte, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara estinto il giudizio promosso dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), e dell’art. 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promosse in riferimento agli artt. 3, 117, terzo comma e 120 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2010.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA