Consiglio di Stato, Sez. V, 26 agosto 2010, n. 5949, sulla ripartizione dell’onere della prova tra datore di lavoro e lavoratore in materia di pubblico impiego;
Consiglio di Stato, Sez. V, 26 agosto 2010, n. 5949
Pubblico impiego – Infermità e lesioni – Responsabilità della P.A. – Per violazione degli obblighi di sicurezza – Presunzione legale di colpa ex art. 1218 c.c. a carico del datore di lavoro – Onere del lavoratore di provare il “fatto” nonchè il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno subito – Sussistenza.
N. 05949/2010 REG. DEC.
N. 08054/2009 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 8054 del 2007, proposto da:
Marcucci Lisetta, rappresentato e difeso dagli avv. Lucio Filippo Longo, Ruggero Tumbiolo, con domicilio eletto presso Lucio Filippo Longo in Roma, piazza della Marina, 1;
contro
Comune di Bresso, rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Quieti, Aldo Simoncini, con domicilio eletto presso Aldo Simoncini in Roma, via della Giuliana 72;
per la riforma
della sentenza del TAR LOMBARDIA – MILANO – Sezione II, n. 01994/2006, resa tra le parti, concernente INFORTUNIO SUL LAVORO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2009 il Cons. Adolfo Metro e uditi per le parti l’avv. Longo e l’avv. Guida R., su delega dell’avv. Quieti A.;
Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.
FATTO
La ricorrente ha svolto, quale dipendente del comune di Bresso, le funzioni di “ausiliario socio assistenziale”, ricoprendo la IV qualifica funzionale.
In data 20/3/95 la stessa ha chiesto il cambio di mansioni, perché affetta da “ lombosciatalgia bilaterale”,
Il comune, con delibera del 27/4/95, la sottoponeva ad accertamenti sanitari.
Con delibera numero 346/95, l’amministrazione, prendeva atto di tali accertamenti che giudicavano la ricorrente “ non idonea ad attività che richiedono prolungata stazione eretta e sollevamento pesi ripetuti e di una certa entità e sollevazione degli arti superiori in elevazione e rotazione” e la inquadrava, a decorrere dal 1°/6/95, nella III qualifica funzionale, con il profilo di “fattorino”.
In data 24/7/95 la dipendente, ritenendo che il suo stato fisico non fosse riconducibile a malattia ma a causa di servizio, faceva domanda per essere reintegrata nella IV q.f. e chiedeva, inoltre, il riconoscimento dell’equo indennizzo.
Lo stesso giorno la ricorrente, nell’espletamento delle sue funzioni di fattorino, nel sollevare un pacco di rilevante peso presso l’ufficio postale, malgrado che il dirigente l’avesse invitata a suddividere lo stesso in più parti, accusava un dolore acuto alla schiena causato, come successivamente accertato, da lombosciatalgia sinistra in ernia discale L4 ed L5.
Con successiva richiesta del 22/1/96 la dipendente chiedeva, per l’infortunio occorsole in data 24/7/95 presso l’ufficio postale, il riconoscimento della causa di sevizio, la liquidazione dell’equo indennizzo ed il reintegro nella qualifica superiore, come già richiesto in precedenza.
L’ospedale militare di Milano, con riferimento alla prima domanda, riconosceva la causa di servizio
ma non la liquidazione dell’ equo indennizzo, in quanto la domanda non era stata presentata nei termini previsti; con riferimento all’infortunio avvenuto presso l’ufficio postale riconosceva la causa di servizio e disponeva la liquidazione dell’equo indennizzo secondo la misura tabellare.
La stessa non riscuoteva la riconosciuta somma di L. 1.157.850 e proponeva ricorso per ottenere il risarcimento del danno alla salute causato per colpa dell’amministrazione in violazione dell’art. 2087 c.c. e, in subordine, la concessione dell’equo indennizzo nell’ambito della cat. IV, misura massima.
Il Tar respingeva il gravame; avverso tale decisione è stato proposto il presente appello con il quale si afferma l’erroneità delle motivazioni poste a fondamento della reiezione del gravame; il comune, costituitosi in giudizio, ne ha sostenuto l’infondatezza.
DIRITTO
I motivi di impugnativa sono limitati alla domanda di risarcimento del danno alla salute per colpa dell’amministrazione, in violazione dell’articolo 2087 c.c., che viene quantificato nella misura di L. 491.750.000 o, in subordine, nel riconoscimento di un equo indennizzo ascrivibile ad una diversa tabella, (IV misura massima ).
Gli stessi, peraltro, devono ritenersi infondati.
In via preliminare, va rilevato che l’equo indennizzo, per presupposti oggettivi, risulta distinto dal risarcimento del danno, in quanto, mentre il primo rientra in una delle tante indennità che l’amministrazione conferisce ai dipendenti in relazione alle vicende del servizio, il secondo tende a compensare, per equivalente, la perdita dell’integrità fisica.
La responsabilità per violazione degli obblighi di sicurezza e tutela dei luoghi e delle condizioni di lavoro grava specificamente sul datore di lavoro ex art. 2087 c.c. e, secondo la prevalente giurisprudenza, ha natura contrattuale (C. S., sez. V, 27 maggio 2008 , n. 2515) “ove si consideri, da un lato, che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato – per legge (ai sensi dell’art. 1374 c.c.) – dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c., citato) e, dall’altro, che la responsabilità contrattuale è configurabile tutte le volte che risulti fondata sull’inadempimento di un’obbligazione giuridica preesistente, comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato.
Dalla prospettata natura contrattuale della responsabilità, la stessa giurisprudenza ricava, per quel che qui interessa, significative implicazioni sul piano della distribuzione degli oneri probatori relativi.
La presunzione legale di colpa – stabilita dall’art. 1218 c.c. a carico del datore di lavoro inadempiente all’obbligo di sicurezza (di cui all’art. 2087, cit.) – deroga, parzialmente, al principio generale (art. 2697 c.c.), che impone – a “chi vuoi fare valere un diritto in giudizio”- l’onere di provare i “fatti che ne costituiscono il fondamento”.Non ne risulta, tuttavia, una ipotesi di responsabilità oggettiva, nè la dispensa da qualsiasi onere probatorio del lavoratore danneggiato.
Questi, infatti, resta gravato – in forza del ricordato principio generale (art. 2697 c.c., cit., appunto) – dell’onere di provare il “fatto” costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza nonchè il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre esula dall’onere probatorio a carico del lavoratore – in deroga, appunto, allo stesso principio generale – la prova della colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento.
E’ lo stesso datore di lavoro, infatti, in qualità di debitore dell’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro, ad essere gravato, ex art. 1218 c.c., dell’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento. (C.S. 2009/09)
Alla luce delle esposte considerazioni, che costituiscono costante orientamento giurisprudenziale, l’appellante avrebbe dovuto fornire la prova di un collegamento eziologico fra la patologia occorsa ed uno o più specifici eventi o condizioni inerenti l’attività di servizio.
Al riguardo, ritiene il collegio di dover aderire alla decisione del giudice di primo grado che ha ritenuto l’insufficienza della prova del nesso eziologico tra l’evento occorso ed il danno subito, atteso che gli effetti lamentati dalla ricorrente, peraltro in maniera generica, non possono farsi risalire al sollevamento di un peso del quale non risulta accertata l’entità, ma appaiono piuttosto riferibili a fattori costituzionali, come risulta anche dalla relazione medica di parte in cui si evidenzia che va tenuto “ in debito conto una predisposizione organica individuale”, nonché dalla documentazione in atti da cui risulta il preesistente degenerato quadro clinico dell’appellante e il suo evidente sovrappeso (h. 1,53, Kg 83), che costituisce elemento aggravante della patologia.
Sotto altro profilo, anche l’asserito elemento della colpa dell’amministrazione non appare compiutamente definito, attesa la possibilità suggerita proprio dal datore di lavoro di ridurre il carico da trasportare, frazionandolo più volte e compiendo più viaggi.
Infine, non risulta indicata alcuna prova dell’entità e gravità della lesione, nè risultano i motivi di quantificazione della notevole somma richiesta ai fini risarcitori.
Analoghe considerazioni vanno fatte nei confronti della domanda subordinata, avente ad oggetto il riconoscimento dell’equo indennizzo con riferimento ad una tabella superiore, atteso che non sono specificamente indicati i motivi per i quali l’infermità non doveva considerarsi ascrivibile a quella che è stata effettivamente assegnata.
Pertanto, non potendo ritenersi provati gli elementi dell’illecito che si assumono essere stati causa del danno di cui si chiede il risarcimento, l’appello deve essere respinto, perché infondato.
Attesa la peculiarità della questione, le spese del giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quinta, respinge l’appello sul ricorso n. 8054/07 meglio specificato in epigrafe e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado; spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2009, con l’intervento dei Signori:
Stefano Baccarini, Presidente
Cesare Lamberti, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Adolfo Metro, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/08/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione