Cassazione civile, Sezione Lavoro, 12 ottobre 2010, n. 20993, in materia di pubblico impiego privatizzato
Cassazione civile, Sezione Lavoro, 12 ottobre 2010, n. 20993
Pubblico impiego privatizzato – Dirigente di un ente pubblico o ex pubblico – Trattamento economico e di quiescenza – Principio di parità di trattamento rispetto ai dirigenti dell’amministrazione regionale – Subordinazione all’emanazione di norme regionali di equiparazione – Necessità.
Svolgimento del processo
S.G. ha convenuto in giudizio l’ERSAC. Ente regionale di sviluppo agricolo in Campania, del quale era stato dirigente apicale con compiti di responsabile del servizio Affari Generali sino al 30 aprile 1999 e ne ha chiesto la condanna a corrispondergli la retribuzione di posizione prevista dall’art. 40, del CCNL Regioni e autonomie locali – area della dirigenza.
Ha dedotto che il Commissario straordinario dell’Ente con tre delibere, due del 1998 e una del 1999, aveva verificato la legittimità delle posizioni dei responsabili dei servizi ed aveva dato attuazione alla norma contrattuale richiamata. La Giunta regionale, invece, considerando improponibile l’equiparazione fra i responsabili dei servizi dell’Ente e i dirigenti dei settori dell’apparato amministrativo regionale, con provvedimento del 16 maggio 2000 aveva disposto la sospensione del trattamento. La Regione in sede di controllo di legittimità, esteso indebitamente anche a valutazioni di opportunità aveva violato la L. n. 8 del 1978, art. 14, comma 3 istitutiva dell’ERSAC, mentre, d’altra parte l’art. 19, stessa legge in tema di regolamento organico del personale e di norme sull’organizzazione strutturale e funzionale dell’ente doveva considerarsi tacitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993.
Su queste premesse lo S. ha chiesto il riconoscimento del diritto alla retribuzione di posizione come determinata dal Commissario straordinario, per il periodo dal 1 gennaio 1996 al 31 dicembre 1998, previa disapplicazione delle delibere di controllo, nonchè per il periodo successivo nella misura proporzionale alle maggiorazioni stabilite dalla nuova pattuizione collettiva ovvero, in subordine, anche per il periodo di vigenza del nuovo CCNL, con condanna dell’ente al pagamento delle relative somme.
L’ERSAC costituitosi per resistere deduceva che le determinazioni de Commissario straordinario sulle quali lo S. fondava la sua pretesa non avevano ottenuto il visto di legittimità perchè adottate in violazione della L.R. n. 8 del 1978, art. 19, secondo il quale l’organizzazione strutturale dell’Ente presupponeva un provvedimento legislativo. Aggiungeva che le fonti pattizie richiamate dallo S. prevedevano che la retribuzione di posizione fosse definita in base ai criteri di equiparazione stabiliti dalle stesse Regioni. Inoltre le amministrazioni destinatane del D.Lgs. n. 29 del 1993 erano quelle statali, ed, infine, i servizi dell’ERSAC non potevano essere equiparati ai settori dell’amministrazione regionale.
11 Tribunale rigettava la domanda con sentenza confermata in appello dalla Corte d’Appello di Napoli.
Il giudice di merito, nel giustificare la decisione di rigetto ha richiamato il cit. art. 40 del CCNL CCNL Regioni e autonomie locali – area della dirigenza, osservando che l’estensione della retribuzione di posizione ai dirigenti degli enti pubblici regionali presuppone la formulazione da parte della Regione di criteri di equiparazione fra le strutture regionali e quelle degli enti e che, in mancanza di normativa regionale, i criteri e la misura della retribuzione non potevano esser definiti dallo stesso ente.
Nè, d’altra parte, poteva valere il principio di equiparazione sancito dallo Statuto regionale, trattandosi, nel caso di specie, non di negazione del principio ma della sua concreta attuazione.
S.G. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso per un motivo. L’ERSAC è rimasto intimato.
Considerato in diritto
L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’interpretazione dell’art. 40 CCNL area dirigenza del Comparto Regioni-Autonomie locali. Violazione e falsa applicazione della L. n. 8 del 1978, art. 14, comma 3 e artt. 19 e 20. Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 dello Statuto regionale Campania approvato con L. n. 348 del 1971. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 49, comma 2, come sostituito dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 23, attualmente del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si addebita alla sentenza impugnata di aver considerato tuttora in vigore della L. n. 8 del 1978, art. 19, che opera una riserva normativa a favore della Regione, senza tener conto che si tratta di norma implicitamente abrogata per incompatibile con il sistema introdotto dalla Legge Delega n. 412 del 1992.
In conseguenza di tale errore la Corte ha, altrettanto erroneamente ritenuto che in mancanza di normativa regionale l’Ente non potesse autonomamente fissare i criteri di equiparazione delle proprie strutture con il corrispondenti settori della dirigenza regionale.
La sentenza impugnata, nell’interpretare l’art. 40 del CCNL Regioni e autonomie locali – area della dirigenza ha inoltre violato il criterio di letteralità, visto che secondo tale art. la definizione della retribuzione di posizione per i dirigenti degli enti pubblici economici dipendenti dalle Regioni a statuto ordinario avviene nello stesso modo di quella degli altri dirigenti indicati in tale art. nelle lettere a, b e c, commi 1, 2 e 3, ossia con attribuzione agli stessi enti, quali datori di lavoro, del potere di fissare tale retribuzione nell’esercizio della loro autonomia gestionale.
Il comma 6, detto art., che per i dirigenti degli Enti pubblici economici dipendenti dalle Regioni fa riferimento ai criteri di equiparazione stabiliti dalle stesse Regioni in relazione alle leggi regionali istitutive dei singoli enti, va quindi interpretato alla luce di tale premessa e deve, dunque, esser riferito alla normativa già intervenuta al momento della istituzione dell’ente di cui si tratta. In particolare, quanto all’ERSAC, tale normativa sancisce, con la L. n. 8 del 1978, art. 20, il principio di equiparazione fra il personale dell’Ente e quello regionale. Tale principio, peraltro, trova conferma anche nell’art. 69 dello Statuto regionale della Campania.
Conseguentemente la Corte di merito avrebbe dovuto far riferimento non all’art. 19 ma all’art. 20, L. n. 8 del 1978, perchè l’applicazione della norma contrattuale investe il tema de trattamento economico e non incide sugli aspetti dell’organizzazione strutturale dell’ente, che il primo dei due articoli cit. demanda alla Regione.
Inoltre, la individuazione della retribuzione di posizione presuppone la predeterminazione della posizione da retribuire nell’ambito della organizzazione dell’Ente. Nel caso di specie, sia dal punto di vista letterale che da quello logico-sistematico deve ritenersi che tale predeterminazione, nel nuovo quadro della “privatizzazione” del rapporto, è stata operata dalle parti collettive. Ne deriva che la Corte di appello, facendo dipendere il diritto alla retribuzione di posizione da un intervento normativo della Regione, aveva violato il principio dell’autonomia collettiva, ritenendo che quest’ultima avesse rimesso all’intervento del legislatore regionale l’operatività della disciplina da essa apprestata.
La sentenza aveva inoltre violato il principio di parità di trattamento contrattuale sancito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.
In questo quadro pertanto dovevano considerarsi pienamente legittime le delibere commissariali che avevano riconosciuto ai dirigenti dell’ERSAC la retribuzione di posizione ed illegittime, invece, anche per violazione dei limiti propri del controllo di legittimità le delibere della Giunta che avevano negato l’equiparazione fra i responsabili dei servizi ERSAC e i Dirigenti dei settori dell’apparato amministrativo della Giunta regionale.
Il ricorso è infondato.
Il CCNL Comparto Regioni ed autonomie locali area dirigenza – parte normativa 1994/97 e parte economica 1994/95 prevede nell’art. 40 la “Retribuzione di posizione di direzione di struttura” stabilendo nei primi tre commi misure differenziate e criteri di determinazione per i dirigenti regionali e per quelli di varie tipologie di enti, e dettando, in particolare nel sesto comma per gli enti pubblici non economici, una regola de seguente testuale tenore:
“6. La retribuzione di posizione per i dirigenti degli Enti pubblici non economici dipendenti dalle Regioni a statuto ordinario e degli II.A.C.P., è definita secondo la disciplina dei commi 1, 2 e 3 in base ai criteri di equiparazione stabiliti dalle stesse Regioni in relazione alle leggi regionali istitutive dei singoli Enti”.
L.R. CAMPANIA 20 febbraio 1978, n. 8 (rubricata come Ente regionale di sviluppo agricolo in Campania. Adeguamento alla normativa della L. 30 aprile 1976, n. 386) stabilisce nell’art. 19 che “Il regolamento organico del personale e le norme sull’organizzazione strutturale e funzionale dell’ente saranno definite con legge regionale” e detta i criteri e principi che dovranno improntarla e nel successivo art. 20, comma 1, dispone che “Lo stato giuridico, il trattamento economico e l’indennità di fine servizio del personale dell’ente sono equiparati a quelli previsti per il personale della regione Campania”.
Il cit. art. 40 del CCNL contiene una disciplina differenziata della misura della retribuzione di posizione, articolata in tre livelli, per ciascuno dei quali sono previsti i requisiti necessari, dipendenti essenzialmente dal grado di autonomia e dai contenuti e dall’ampiezza delle responsabilità connesse alla posizione rivestita.
Lo stesso art. 40 contiene poi norme sulla retribuzione di posizione dei Segretari generali delle Camere di commercio e delle Comunità montane, dichiarando applicabili senz’altro i primi due commi dello stesso art..
Nel comma 6, come detto, le parti collettive prevedono egualmente l’applicazione della differenziata disciplina fissata dallo stesso art., limitatamente ai primi tre commi ma rinviano a criteri di equiparazione, stabiliti dalle stesse regioni in relazione alle diverse leggi regionali.
Ciò significa che anche per gli enti regionali la retribuzione in esame dovrà esser articolata nei vari livelli e secondo i parametri fissati dal contratto collettivo. La clausola in esame richiede però, diversamente dal caso dei Segretari generali sopra evidenziato, una successiva operazione. Essa presuppone infatti lo specifico sistema dei gradi di autonomia e responsabilità dei dipendenti regionali ma esige che per ciascuno di tali gradi venga determinato il corrispondente livello nell’ente regionale.
La decisione concernente questa corrispondenza viene d’altra parte rimessa alle Regioni.
Questa scelta significa quindi, stando ad un non ambiguo dato letterale, che il criterio di equiparazione, per espressa volontà delle parti contrattuali, non può esser fissato dallo stesso ente.
Il che, del resto, è da un lato frutto della posizione generalmente subordinata degli enti in questione (appropriatamente definiti dal contratto come “dipendenti dalle Regioni”) dall’altro risponde chiaramente ad un criterio razionale, avendo solo la Regione una visione complessiva degli enti ad essa subordinati e della relativa organizzazione anche sotto il profilo del personale addetto.
Il c.c.n.l. opera quindi una scelta in senso chiaro ritenendo necessario l’intervento delle Regioni.
Quando poi esso fa riferimento ai criteri “stabiliti in relazione alle leggi regionali istitutive” intende lasciare evidentemente spazio alle previsioni di tali leggi sulle modalità di determinazione dei criteri.
E’ allora evidente che il generico principio di equiparazione indicato dalla L. n. 8 del 1978 e dallo Statuto regionale non fornisce risposta al problema. Il principio di equiparazione è in se chiaro, ma, considerando l’insieme del personale regionale e l’insieme del personale dei vari enti, per stabilire a quale elemento di uno di tali insiemi corrisponda ciascun elemento dell’altro occorre individuare un criterio che stabilisca in concreto come vada effettuata l’equiparazione. Il criterio va quindi rispettato ma come affermato dalla Corte di merito per rispettarlo occorre anche preventivamente declinarlo. Se si devono equiparare autonomia e responsabilità è evidente che l’indicazione generale offerta dalla legge non basta. Quindi è del tutto infondata la denunzia di violazione del principio di parità di trattamento fissato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.
Così ricostruito il significato della clausola contrattuale perde evidentemente rilievo, e non va qui esaminato, il problema dell’eventuale abrogazione della L.R. n. 8 del 1978, art. 19.
Irrilevante è infine, data la disciplina privatistica del rapporto, ogni indagine tanto sulle delibere commissariali che avevano riconosciuto ai dirigenti dell’ERSAC la retribuzione di posizione quanto sulle delibere della Giunta regionale che avevano negato l’equiparazione fra i responsabili dei servizi ERSAC e i Dirigenti dei settori dell’apparato amministrativo della Giunta regionale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, senza provvedimenti sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimala.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2010